Giovedì 29 febbraio, alle ore 19, i Corps Mimétiques di Nathalie Figliolia, fanno tappa nella galleria Cerzosimo di Bellizzi e diverranno oggetto di dialogo tra l’autrice, Mimmo Volpe, Franco Nicolino, Simona Paolillo, Antonella Capaldo e Maurizio Foglia
di OLGA CHIEFFI
Dopo l’inaugurazione della mostra di Nathalie Figliolia che ha di fatto aperto la nuova edizione dei “Dialoghi sulla Fotografia”, una rassegna in quattro appuntamenti mensili, che gode del patrocinio morale che gode del patrocinio morale dei comuni di Salerno e Bellizzi e del C.N.A Confederazione Nazionale, dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa, ideata e realizzata da Armando Cerzosimo, in sinergia con i suoi due figli Pietro e Nicola, domani Giovedì 29 febbraio, alle ore 19, la rassegna si sposterà nella Galleria Cerzosimo sita in Bellizzi, alla via Roma 210. Nasceranno intorno ai “Corps mimétiques”, nuove visioni, in un nuovo spazio, con diverse proiezioni di immagini e altre angolazioni di critica e giudizio che vedrà protagonisti, oltre l’autrice, il sindaco di Bellizzi, Mimmo Volpe, il filosofo ed esteta Franco Nicolino, Simona Paolillo in rappresentanza della CNA Salerno e gli assessori alla cultura e al commercio del comune ospitante, Antonella Capaldo e Maurizio Foglia.
I “Corps mimètiques” di Nathalie Figliolia è una serie di 25 fotografie a colori realizzate e sviluppate personalmente in laboratorio tra il 2005 e il 2006 a Parigi. Sovrapponendo sotto l’ingranditore più negativi, l’impressione sulla carta fotografica resta un’azione unica dando origine ad un pezzo unico ed irripetibile in quanto non esiste negativo corrispondente all’immagine impressa. Nella realizzazione dello scatto, attraverso l’uso dell’immagine proiettata su di un vero corpo tenta di costruire o decostruire la profondità di un “Luogo” trasformando lo spazio e conferendogli una realtà propria. Il corpo diventa allora luogo di sperimentazione e manipolazione. Inghiottito dal dispositivo, immerso in una camera oscura e sollecitato dalle immagini proiettate, si trasforma in “schermo a sensazioni” ed incarna le caratteristiche del fenomeno luminoso. Da qui il titolo della mostra: Corpi mimetici dove il corpo assume le caratteristiche che la luce gli conferisce spogliandosi delle sue forme e vestendosi di un altro spazio.
La pelle funge da frontiera tra il dentro ed il fuori di sé, incarna nuovi segni tentando di eliminare quel limite di chiusura all’interno del proprio corpo alleggerendolo.
Se la pelle non è che una superficie, è anche la profondità figurata di sé ed incarna l’interiorità. Sono queste opere della Figliolia immagini analogiche che propongono un distacco logico, quasi sintattico, tra il momento in cui la foto viene scattata e quella in cui viene sviluppata per essere visibile. Immagini uniche che costruiscono mondo figurativo di Nathalie Figliolia, agli antipodi di quel mondo della contro-visione, quale può insorgere dalla perdita di capacità o di possibilità nel riconoscimento e nell’espressione del reale di un’anima mundi, dove natura e corpo trapassano l’uno nell’altro. Le sue figure sono, infatti, apparizioni che emergono nello spazio delle attese e del buio delle cose e ne “rompono l’equilibrio”, fissando l’evento e il racconto. Ma quel che noi cerchiamo è di più: è la proprietà specifica del mondo dell’immagine della Figliolia: fotografare è sognare e ricordare con le mani, cioè tramite una tecnica e, con questa, entrare nella “buia tana dell’indicibile”. Non il reale immediato, ma l’anima della realtà, attraverso la sua narrazione: questo è e vuole essere oggetto della mimesi, si può dire che lo spazio semantico specifico dell’immaginazione è formato sulla narrazione di ciò che sta dietro quella realtà che si offre, in prima istanza, come “scuola del vero” (si è parlato, ad esempio, di irrealtà onirica e di realtà riscoperta sempre travestita da valori spirituali imposti dall’alto, tramite simboli applicati). Se è vero che una sola è il soggetto che l’artista ha fotografato, è questa immagine è appunto sempre il racconto-sequenza dell’altra faccia del reale, della dimensione oscura della sua vita. Anima mundi, dunque, nel senso platonico o, almeno qui, rinascimentale soprattutto, della magia nelle cose, attraverso cui esse “parlano” e mostrano tensioni, psichicità immanenti, simili o in continuità con quelle degli esseri umani in una realtà riscoperta.