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Ermonela Jaho: The nearness of you

  • Giugno 12, 2025
  • Olga Chieffi
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Un trionfo annunciato quello del soprano albanese con il Maestro Jacopo Sipari di Pescasseroli, alla testa della Kosovo Philarmonic Orchestra, con konzertmeister Abigeila Voshtina e quattro gemme del magistero del Martucci di Salerno, Andrea Ronca, Manuel Magurno, Simone Parisi e Domenico Donatantonio, in piazza a Pristina, una vera e propria celebrazione del melodramma italiano.

 

Facciamo nostra l’essenza di una song di Hoaghy Carmichael  “The nearness of you” per schizzare un filo rosso che ha legato diversi stati, vicinanza fisica, affinità elettive, gusto, sino alla condivisione dell’intuizione del bello, quell’ostinata armonia anche sinestetica del luogo, in una notte d’estate, che ha portato alla realizzazione di un sogno, ovvero il concerto del soprano Ermonela Jaho e il Maestro Jacopo Sipari di Pescasseroli, i quali si sono ritrovati sul grande palco all’aperto di Pristina, per inaugurare la stagione all’aperto della Kosovo Philarmonic Orchestra e, quindi, dell’opera, un desiderio che sembrava inarrivabile per organizzatori, musicisti e pubblico, che ha affollato la grande arena all’aperto e le vie d’intorno, per il concerto dal titolo “All the love of the world”. Il termine Love, come promesso, oltre che invito alla pace, è stato declinato dai protagonisti in tutte le sue accezioni, a cominciare dalla passione, che è gioia e dolore, un modo per fare i conti col proprio passato per continuare ad essere il sogno di se stessi, senza mai sotterrare il personale daimon ed essere felice per continuare ad inventare la gioia per il proprio pubblico. Il Maestro Jacopo Sipari, che ha allestito la scaletta della serata, ha offerto un approccio interpretativo molto particolare, “in punta di bacchetta”. Un metodo, a lui caro, che non privilegia l’intera curva melodica nel suo complesso, ma si concentra invece sull’accentuazione di specifici momenti salienti, come l’inciso, l’interiezione e l’attacco della romanza. L’obiettivo è di inserirsi in modo decisivo e definitivo in questi passaggi, per ricostruire con precisione le emozioni e il patrimonio musicale ricco e prezioso di cui si dispone. In sostanza, si tratta di un’interpretazione che mira a valorizzare i punti cruciali del brano, creando un impatto emotivo più forte e autentico, piuttosto che una lettura lineare e uniforme della melodia. La Kosovo Philarmonic Orchestra, grazie al progetto Erasmus, ha accolto in formazione quattro eccellenti studenti del Conservatorio “G.Martucci” di Salerno, il flautista, che si è diviso tra flauto ed ottavino, Andrea Ronca, già del magistero di Antonio Senatore, due percussionisti allievi del Maestro Paolo Cimmino, Simone Parisi e il più giovane della spedizione, Domenico Donatantonio, unitamente al clarinettista Manuel Magurno, pupillo del Maestro Gaetano Falzarano, che ha suonato il clarinetto basso, un’esperienza indimenticabile la loro, alla corte della Jaho e della bacchetta del loro maestro “ritrovato” Jacopo Sipari. Apertura con la Tregenda delle Villi di Giacomo Puccini, una pagina che vive del frastagliamento della dinamica, dei colori timbrici delle sezioni orchestrali e del modo d’attacco dei suoni, che si alternano vertiginosamente, creando un gioco di tensione e sorpresa, essendo anche vorticosamente e palesemente ballabile, in una forma che mesce e svaria le numerose idee melodiche. Il maestro ha tenuto alta questa vivacità di contrasti, con le percussioni salernitane che hanno dato prova di consapevolezza e sicurezza, il quale ha reso l’intera composizione un esempio di raffinato equilibrio tra complessità e semplicità. La Jaho ha esordito con il personaggio di Liù  e la sua aria “Signore, ascolta!” dal primo atto di Turandot, in cui ha unito al tocco di grazia naturale una tecnica sopraffina che rende al meglio il lirismo della parte, con una voce piena, ricca di armonici, e un legato di alta scuola, che non la trasforma eccessivamente in un personaggio troppo impalpabile e disincarnato, ma ritratta con passionalità autentica, tipica di una donna travolta dai sentimenti veri e non solo idealizzati. Ermonela Jaho ha quindi dato voce a Desdemona dell’Otello di Giuseppe Verdi. L’Ave Maria giunge fin su in cielo ciò che ti resta in mente è il peso etereo del canto sulla parola “prega e Ave” mentre la bruciatura del cuore è sulla pronuncia morte. Merito anche del direttore, che le ha costruito attorno una cornice di grande morbidezza, complice una formazione in buono spolvero, virtuosa nelle sezioni degli archi, una lettura, quella di Sipari, che non ha lesinato in preziosi effetti sonori, in particolare nel Puccini successivo, quello di Suor Angelica. Anime nude quelle del soprano e del maestro, come in uno specchio, ambiente, atmosfera, colore, in orchestra, nell’intermezzo, il bel clarinetto basso di Manuel Magurno, che presagisce il ricordo e il suicidio. In “Senza mamma“, la  Jaho ha rivelato la sua notevole tempra drammatica, la capacità di rendere il personaggio in modo toccante e maturo, con la sua interpretazione intrisa di tragicità, accompagnata da un fraseggio ricco di pathos e di grande controllo sui piani vocali, latrice di un trasporto emotivo, un’intensità e una grande immedesimazione nel ruolo, che  hanno reso l’interpretazione particolarmente potente e coinvolgente, sino alle lacrime. Ermonela Jaho è Adriana Lecouvreur. E’ lei che rompe la prova del Bajazet di Racine e spiega la sua semplicissima fede artistica, l’attrice, che è tratto caratteristico del sentire musicale del soprano d’Albania, ma tanto anche nostro, intermediaria fra il poeta che scrive e il pubblico che ascolta. Prima recitava, la primadonna soprano, ma ora canta dicendo “Io”, e ha scivolato con la sua voce nel morbido, rotondo arioso, un melisma su “gioconda”, un “fortissimo” su atroce e quel fitto cumulo di indicazioni tecnico dinamiche che hanno fatto giustizia dell’ultimo verso. Rara raffinatezza in orchestra, sia nell’intermezzo che nell’aria “Son poveri fiori”. Cajkovskiano il pensiero: baluginii caldi colore del rame, simbolismo e un corno inglese d’eccezione, su tutto e tutti il corno inglese di Stefania Mercuri, con un’orchestra che si è colorata di un timbro unico, fatto di fuoco e di cenere, allusivo più che rappresentativo, dell’inestinguibile scambio osmotico di un eros tinto di sacrificio e di bellezza febbrile. “Messa in voce” d’alta scuola per il flauto e l’ottavino di Andrea Ronca, intervenuto nell’intermezzo sinfonico di Madama Butterfly, per schizzare quel luogo metamorfico, il trascolorare della notte e la dissoluzione del sogno, con il direttore  particolarmente ispirato, capace di apprezzare e porre in risalto le sfumature delicate “debussyane” e le aggregazioni armoniche e timbriche più sottili. La difficoltà di dirigere  Puccini è nella capacità di governare e modellare l’onda lirica in tutta la sua ampiezza e intensità, dall’inciso più sommesso, quasi intimo, fino agli apici tragici o di euforia. Ciò  è avvenuto in “Un bel dì vedremo”, che la Jaho ha inteso donare al pubblico con il suo canto facile e sicuro,  il fraseggio ricchissimo di chiaroscuri, il cesello psicologico, con in primo piano, l’attesa, quel “morire” che preannuncia un urente  taglio per uscire dal bozzolo, farfalla triste che guarda il mare, con fede, grande quanto il suo amore, perfetto specchio del suo inquieto essere. Finale con La Traviata. E’ tardi! Tempus fugit, con l’Addio del passato di Ermonela Jaho, che è riuscita a far udire come echi, i fruscii soffici e spenti d’un corpo che si spoglia: forcinelle, spilloni e stecche di osso di balena sono ormai per terra; resta il gemito, tra l’affanno d’una voce buia e bagnata di pianto, tra un basso e sontuoso volo di veli, che cadrà sull’etereo suono di un violino. Sappiamo che Violetta stregò Ermonela, da ragazzina, e che oggi è una delle massime interpetri del ruolo, al quale ha restituito crudezza, disperazione e sincerità. Standing ovation e bis, con il Puccini del Gianni Schicchi e l’aria di Lauretta “O mio babbino caro”, che  ancora una volta ha lasciato un’impressione profonda grazie al legato impeccabile e all’approccio artistico commovente. Saluti con un abbraccio liberatorio e gravido d’emozione tra Ermonela Jaho e Jacopo Sipari di Pescasseroli, preludio di un sodalizio che regalerà ancora preziosi momenti di musicali, piccole ebbrezze.

Da sin. Andrea Ronca, Domenico Donatantonio, Jacopo Sipari, Simone Parisi e Manuel Magurno
Jacopo Sipari ed Ermonela Jaho

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Olga Chieffi

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