Domani sera alle 20,30 Linea d’Ombra Festival festeggerà la Liberazione proiettando nel Piccolo Teatro Porta catena, la pellicola dei fratelli Paolo e Vittorio Taviani, in cui il rigore dei due registi sta per “aderenza al reale” mai dimenticando fantasia e poesia
di OLGA CHIEFFI
Scena prima: Una finestra spalancata sulla campagna toscana sotto un cielo stellato. E’ estate. I colli si perdono ad ondate fino all’orizzonte. Voce di Cecilia fuori campo: “Stanotte è la notte di San Lorenzo amore mio. Devono cadere le stelle. Da noi qui in Toscana, si dice che ogni stella che cade esaudisce un desiderio. Aspetta a dormire!”. La macchina da presa avanza, esce dalla finestra ad inquadrare il cielo e la campagna nella notte stellata. “Sai qual è il mio desiderio stanotte? Di riuscire a trovare le parole per raccontare a te un’altra notte di San Lorenzo di tanti anni fa” Il cielo stellato. Una stella cadente, luminosa, lo attraversa. Titolo del film: La notte di San Lorenzo. Domani 25 aprile il Linea d’Ombra Festival festeggerà la Liberazione proiettando nel Piccolo Teatro Porta Catena, la pellicola dei fratelli Paolo e Vittorio Taviani, datata 1982, in cui il rigore dei due registi sta per “aderenza al reale” mai dimenticando fantasia e poesia. Un primo momento di riflessione sul valore della libertà che fa da anteprima al tema scelto per la XXIX (9 – 16 novembre 2024) e la XXX edizione del festival, “diritti/rights.
E’ troppo piccolo il teatro Porta Catena per il pubblico che personalmente auspicheremmo, vedesse per la prima volta o si confrontasse per l’ennesima, meravigliosa volta con le immagini di questo film che racchiude l’essenza del cinema di Vittorio e Paolo Taviani, a partire da quell’ umanesimo toscano, che può essere immaginato come un ricco tappeto visivo in cui ordito e trama sono di volta in volta ragione e sentimento, fantasia e realtà, coscienza del limite e volontà di riscatto, utopia e realismo, individuo e gruppo.
Quali le immagini che resteranno negli occhi di quanti saranno in sala di questo film, che viene proiettato, immaginiamo, anche per ricordare la figura di Paolo Taviani, scomparso solo due mesi or sono? Per me certamente due: la prima dove i forti toni della pittura masaccesca trasudanti intensa umanità prendono forma filmica, come quella in cui la figura umana (Paolo Hendel) di staglia con toni scuri sul giallo dell’immenso campo di grano ravvivato da brevi colpi di colore nel vestito della donna e nelle figure in lontananza, non lontano da alcune scene della cappella Brancacci e la raggiera dei pali infissi nel corpo del fascista ucciso nella battaglia del campo di grano, che evoca l’assolutezza espressiva di alcune battaglie di Paolo Uccello, per tutti quella di San Romano, con lo stesso movimento delle lance e un’identica sensazione di violenza e lotta, unitamente a tutti gli squarci paesaggistici che ci sfilano dinanzi i segni da Filippino Lippi a Bartolomeo della Porta.
Di questo altissimo risultato filmico, si può parlare di opera d’arte organica, proprio nel senso che tutti gli elementi costitutivi l’insieme partecipano anche di ogni suo singolo componente. In più, “La notte di San Lorenzo”, in quanto segnata da un intenso pathos, lo trasmette copioso, ovvero come affermava Sergej Ejzenstejn, è qualcosa che costringe lo spettatore a balzare in piedi, ad uscire da sé, in questo caso, sarebbero da usare termini quali stupore, sacralità, epicità, tutti suscitati dall’impatto dello spettatore con una sostanziale unità di stile e di contenuti, quale si ritrova in ogni invenzione del film, sia essa narrativa, emotiva, visiva, e in tutte quelle sequenze chiave nelle quali musica ed immagine vivono uno splendido rapporto di sincresi più che di simbiosi.
La colonna sonora di questo film, composta da Nicola Piovani, in stretta e costante collaborazione creativa tra musicista e regista, indica l’importanza del fatto che la musica non deve mai restare accanto al film, né tendere ad una mera illustrazione di commento, ma deve valorizzare in modo determinante il clima ora drammatico, ora poetico delle immagini visive. Il film è una sorta di incanto, un rito tribale che, come l’antica epica orale, è fatto per essere tramandato alle generazioni future, come ricordo di un tempo in cui ogni cosa sembrava più grande della vita.
