Ricordiamo ancora la rappresentazione al teatro Verdi dell’opera di Temistocle Marzano, datata 1872, oggetto di un fine progettino finanziato con danaro pubblico nel 2006, ad opera di Eugenio Paolantonio e che oggi viene riproposto in forma ancor più risicata dell’epoca, accompagnata da un “grande” pianoforte a coda e con “musica dal vivo”, come recita la nota stampa
Di Olga Chieffi
E’ fissato per venerdì 19 novembre, il nuovo tentativo di sbarco de’ “I Normanni a Salerno”, opera di Temistocle Marzano, in quattro atti, stavolta al teatro Augusteo, alle ore 20,30 senza orchestra, ma accompagnata al pianoforte, anzi da un “grande” pianoforte a coda, come recita il comunicato stampa inviato dall’Associazione Temistocle Marzano, che fa capo ad Eugenio Paolantonio, con il patrocinio del Comune di Salerno e della Fondazione Sichelgaita e con il sostegno di BCC Campania Centro, Cassa Rurale Artigiana (Gruppo Bcc Iccrea), Fondazione Cassa di Risparmio Salernitana e Camera di Commercio di Salerno. L’opera lirica sarà proposta nella sintesi di un unico atto di un’ora e mezza, quindi immaginiamo, senza recitativi, ma solo con l’esecuzione di cori ed arie, “con la musica dal vivo” recita il comunicato e appunto da “un grande pianoforte a coda. Ascolteremo nei panni di Guaimaro, Principe di Salerno, Davide Maria Sabatino (basso); in quelli di Bianca, sua figlia, Chiara Polese (soprano), quindi Ainulfo, condottiero, Gianluca Pantaleone (tenore); Guglielmo Braccio di Ferro, Maurizio Esposito (baritono). Con i solisti il Coro Filarmonico Jubilate Deo diretto da Giuseppe Polese, mentre al “grande” pianoforte a coda siederà Nicola Polese. I nostri amministratori hanno memoria corta. Intorno al 2005-2006 il progetto questo che Eugenio Paolantonio al tempo, presidente della S.I.A.L. Sviluppo Arte Idee Lavoro, ex allievo di quel “Serraglio”, del quale Temistocle Marzano fu primo direttore, ma del ramo meccanico, presentò, spalleggiato dall’allora ministro Antonio Marzano, in collaborazione con la regione Campania, la Provincia e il comune di Salerno, la Fondazione Sichelgaita, l’Ente Provinciale per il turismo, fu quello di liberare dal silenzio quest’ opera datata 1872, che si battè con il Rigoletto per l’inaugurazione del teatro Verdi, proprio in quell’anno. Un appoggio a scatola chiusa degli Enti a questo progetto, che leggendo giustamente di Salerno e della sua storia intendeva salutare un tour di quest’opera, con ampie iniziative di contorno, in tutte le regioni che hanno subito la dominazione normanna, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia, allo scopo di esaltare le tradizioni artistiche e storiche del nostro territorio e con esse promuoverle a livello internazionale. L’opera giunse fotografata in microfilm, dalla biblioteca del Conservatorio San Pietro a Majella, e consegnata al Maestro Gaetano Santucci che l’ha arrangiata, assemblata e che vide la sua opera annullata da un nome quale quello di Eugenio Paolantonio, allievo della sezione meccanica dell’Orfanotrofio Umberto I ed ex-presidente dell’Associazione ex-allievi dell’Orfanotrofio Umberto I, il quale solo perché uscito da quell’istituto glorioso in particolare per la scuola di musica, si è permesso di firmare l’edizione critica di un’opera, che ora ha riproposto agli attuali amministratori.La storia ricorda la resistenza della popolazione salernitana e l’infelice amore di Bianca, figlia del re Guaimaro, principe di Salerno, e promessa sposa di Guglielmo Braccio di Ferro, per Ainulfo, personaggio chiave dell’opera, traditore del proprio popolo e della propria fede. Questi, infatti, informato delle nozze dell’amata con Guglielmo, si introduce nel palazzo per portarla con sé ma, avendo fallito, torna sotto mentite spoglie minacciando di uccidere il re Guaimaro. Scoperto e fatto prigioniero, Ainulfo si uccide per non cadere nelle mani del popolo che vorrebbe linciarlo. L’amor patrio di Bianca trionfa sulla passione che unisce i due giovani e il sacrificio riscatta Ainulfo dal suo tradimento. L’opera è un ibrido, imperniata su di una tessitura cara al belcanto, ma la vocalità è drammatica, sulle tracce della Tosca pucciniana. C’è una cabaletta di stampo donizettiano, ma abbiamo anche echi veristi alla Mascagni. Ci sono delle intuizioni, quali il coro di corni (che non sentiremo) all’inizio della sinfonia che ritornano nel II atto, questa volta con aria minacciosa, c’è un forte uso della sesta napoletana armonie particolari con un passaggio, ad esempio da un mi bemolle maggiore ad un mi maggiore senza modulazione, una splendida tarantella per festeggiare la vittoria sui saraceni, in apertura dell’ultimo atto. L’orchestrazione è in ascesa, molto importante, bei ripieni, nella prima metà della partitura, sino a giungere ad un IV atto di estrema raffinatezza e ricerca timbrica. Riguardo le voci vediamo che Bianca è un mix tra la Giulietta belliniana e la Lucia donizettiana, con l’inserimento di diverse eroine verdiane, mentre tra Ainulfo e Guglielmo scorgiamo molte assonanze con il Cassio e lo Iago verdiano. Molto rilievo ha il coro, con il famoso coro dei Saraceni del II atto, speziato di esotismo e la preghiera che anticipa quella della Cavalleria Rusticana. La caratteristica dell’opera è che ogni aria ha una melodia che difficilmente si dimentica di immediata comunicativa, con un uso in nuce del leitmotiv. Dunque, tutta questa partitura che per quanto si voglia tagliare e spulciare resta molto impegnativa e strabordante, sarà realizzata da un pianoforte però “grande”. E’ questa la cultura finanziata dalle istituzioni? Ha ragione l’Onorevole De Luca quando dice che il nuovo clientelismo politico è rappresentato da quella miriade di associazioni culturali, che ci piace definire i “petenti” teatrali. Il progetto all’epoca, costò all’incirca centotrentamila euro, finanziato con danaro pubblico, a questo punto devo dire anti-educativo, poiché ascoltammo un’idea molto lontana dell’opera del Marzano. Purtroppo, le istituzioni, specialmente locali, furono e sono state ancora abbagliate da quello specchietto per le allodole che è un’opera dedicata ad un episodio storico della nostra città, scritta da un musicista che ha vissuto e lavorato a Salerno, ma il nostro monito è che bisogna operare una cernita intelligente, informandosi sulla validità dei progetti, sulla loro realizzazione. Certo, non è facile maneggiare una partitura di quel genere, che fa parte di quelle opere cosiddette a “cavaliere” tra Ottocento e Novecento ma che guardano ancora al primo romanticismo, in particolare per gli amministratori che dovrebbero scegliere cosa appoggiare, carte alla mano, con consapevolezza, in giorni di magra, quali sono quelli che viviamo oggi. A Salerno insiste un Conservatorio con un dipartimento di Analisi e composizione, musicologia e canto, insiste un teatro diretto da un musicista del calibro di Daniel Oren, con un generoso braccio destro che proviene dalla scuola proprio diretta da Temistocle Marzano, Antonio Marzullo, quindi, prima concedere appoggi di vario genere, anche solo logistici, si potrebbe pur fare un passaggio con chi sa e superare, questa inutile governance che si basa sullo scambio, sull’amicizia e sulla raccomandazione. Siamo pessimisti, ma intendiamo ancora lasciare sgombro l’orizzonte “Io con fede l’aspetto” (da Madama Butterfly Giacomo Puccini). La storia ricorda la resistenza della popolazione