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Antonio Marzullo: A vida è a arte do incontro

  • Novembre 17, 2024
  • Olga Chieffi
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Dalla grande scuola di fiati dell’ Istituto Umberto I al teatro Verdi quale segretario artistico e “spalla” del M° Daniel Oren, l’uomo, il musicista, il Maestro

 Di Olga Chieffi

 Sono intensi e commoventi i ricordi di Antonio Marzullo, le tappe che lo hanno portato ad essere oggi docente di trombone e tromba del conservatorio statale di musica “G.Martucci” di Salerno e segretario artistico del Teatro Comunale “Giuseppe Verdi”, braccio destro (e anche sinistro!) del “Maestrissimo” Daniel Oren, solo ieri ospite dell’ Orfanotrofio Umberto I, il famigerato “Serraglio”, la cui scuola di musica è stata fucina di eccellenti strumentisti, che hanno conquistato le prime parti nei maggiori teatri d’Italia e complessi bandistici militari. Abbiamo incontrato l’ “Eccellenza” Antonio Marzullo nel foyer del massimo cittadino, cuore pulsante della cultura della nostra Salerno.

 Maestro, la conosciamo testimone ed erede della famosa scuola di fiati dell’istituto Umberto I, come è arrivato lì e come ha avvicinato il suo strumento, il trombone e la musica

“A vida è a arte do encontro” è quel verso carico di simboli le parole di Vinicius de Moraes e posso dire che questa frase mi accompagna da quando a dieci anni, un 11 novembre, nel giorno di San Martino, varcai la soglia dell’Istituto Umberto I. Procedo per citazioni poiché l’incontro per me è sempre da sempre “Fortuna Imperatrix mundi”: è per una sequela di incontri, infatti, che io ho realizzato ciò che sono. Devo dire che quell’ 11 novembre, con i miei compagni ci ritrovammo a partire da fratelli, dalla stessa linea di partenza, in perfetta parità e parimenti speranzosi, per inseguire un sogno. Ad accoglierci e a smistarci nelle varie attività c’era Raffaele Ronga, il quale guardando le mie mani mi iscrisse nella classe di violoncello. Dopo qualche tempo, i miei compagni cominciavano ad avvicinarsi alla banda, poiché avevano intrapreso lo studio degli strumenti a fiato, e io invece non avrei potuto mai accedere a ciò che era un traguardo e gioia pura, poiché i bandisti portavano una divisa particolare, i più piccoli avevano il compito di lucidare gli strumenti e, quindi, con gli stracci, dopo si aveva il permesso di fare una palla per giocare nella famosa “villetta”. Fu così che dissi che il violoncello era uno strumento che non mi piaceva, scelsi il trombone ed entrai nella classe del Maestro Carlo Uva e finalmente ebbi accesso a fare “il portatore” ovvero sfilare senza suonare e a lucidare anche io gli strumenti. Chiaramente mi cominciai ad appassionare e con l’aiuto dei vari “Maestrini”, io ero con Umberto Vassallo, di Ruggiero Pastore, mi cominciai ad appassionare e finalmente eccomi in banda, agli ordini del Maestro Arturo Amaturo. Quando mi dettero per la prima volta il cappello ci andavo pure a dormire.  La banda dell’ orfanotrofio era attesa e amata dalla popolazione, chi ha avuto l’occasione di ascoltarla ne conserva ancora un indelebile ricordo. Eravamo amatissimi, i salernitani ci aspettavano, in particolare a San Matteo, poi, lindi e pinti col nostro papillon a molla, tornavamo in istituto tutti fidanzati e con un sacco di leccornie che, dividevamo, come fratelli, con gli altri ragazzi. Io non mi allontano mai dalla città a San Matteo. Ricordo i miei amici che non ci sono più: Cassio Prinzo, Fortunato Santoro, Antonio Procida, Renato Bove, Mimmo Giordano, i miei maestri e rivivo nei miei allievi che vedo sfilare nelle bande le stesse emozioni di quei tempi”.

Non solo musica, per Antonio Marzullo,  lei era anche un talentuoso calciatore

“E si è vero ed ho giocato fino a qualche anno fa. Da ragazzo avevo fatto un provino per il San Sepolcro che era squadra satellite dell’Arezzo e mi avevano preso. Purtroppo, mia madre, era contrarissima a che intraprendessi la carriera di calciatore, si arrabbiò tantissimo  e fui costretto a rinunciare. I giorni di pianto e disperazione furono ben tre, poi mi consolarono il maestro Faiella e Biagio d’Adamo e ripresi con tenacia gli studi di musica.

 Intanto, continuano gli incontri…..

Si certo. Non solo classica da ragazzo, non dimentichiamo che eravamo tutti a caccia di sistemazione e denaro e ho suonato di tutto anche la musica leggera, in particolare con l’orchestra di Umberto Apicella, mentre per quella del M° Francesco Florio ero ancora troppo inesperto e ragazzino, anche perché il suo tipo di scrittura non era affatto semplice. Poi, grazie ai maestri, i famosi incontri, appunto con Carlo Uva tromba e Felice Regano I trombone dell’opera di Roma, Emilio Bianchi e Vincenzo Tiso prime parti del San Carlo, ho cominciato a suonare al massimo partenopeo. Nel 1979 perdo il concorso e sempre attraverso un altro incontro, Antonio Moccia, sbarco alla Fenice di Venezia e vi rimango per tre anni, ma Milano era vicina e continuavo a studiare in Scala con Vallesi e Ferrari.

E l’insegnamento? 

“L’insegnamento è venuto tardi. Non ci pensavo perchè si suonava tanto, tra Opera di Roma, San Carlo, trasferte, ho suonato con Roberto de Simone, l’orchestra Italiana di Salvatore Accardo, non si contano gli spettacoli alle terme di Caracalla, ove sempre grazie alla rete dei “Serragliuoli” musicisti, c’è stata sempre una “squadra” tutta salernitana in orchestra, riuscendo a far musica con i massimi direttori e cantanti dell’epoca. Uno degli incontri più importanti è stato con Gioacchino Lanza Tomasi, uno dei massimi musicologi italiani e nel 1982 sovrintendente dell’Opera di Roma, quando feci l’audizione e fu proprio lui a innamorarsi del suono del mio strumento. All’ Opera di Roma insisteva un giovane direttore d’orchestra Daniel Oren e lì è nata la nostra amicizia. Riguardo l’insegnamento ho iniziato al conservatorio di Vibo Valentia, quindi Benevento, Avellino e solo nel 1990 sono arrivato a Salerno. Devo dire che ho un solo rammarico non essere mai riuscito a suonare nell’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia”.

La sua eredità musicale a chi va?

Ho avuto tantissimi alunni e devo dire che mi è stato sempre recriminato dai maestri con più esperienza di lanciare i miei allievi troppo presto, di diplomarli giovanissimi, di buttarli nell’agone lavorativo ancora acerbi. Forse, ora che ci penso è così. Purtroppo, c’è quella visione del guadagno che spesso attanaglia i giovani e li fa perdere, ma devo dire che i nomi che sento più vicini alla mia visione dello strumento e della musica in sé sono Cosimo Panico, i gemelli Caso primo e secondo idoneo in Scala, e ancora Antonio Sabetta oggi nella banda musicale dei Carabinieri, Vincenzo Serio, ma sono veramente tantissimi i miei allievi capaci di portare avanti la tradizione salernitana degli ottoni, che appartiene poi all’intera nostra scuola di fiati.

Il passaggio dalla buca all’ufficio di segretario artistico del Verdi e di direttore artistico di “Un’estate da Re”, “Ravello festival” e tanto altro come è avvenuto?

“Appena giunto al Conservatorio di Salerno ho pensato che con il teatro che stava riaprendo bisognava fondare un’orchestra, ed ecco che nel 1991, con altri quattordici colleghi fondo l’associazione e quindi l’Orchestra Filarmonica Salernitana. Il Verdi nasce teatro d’opera e con qualche finanziamento, grazie ad Antonio Bottiglieri e alla provincia di Salerno, l’orchestra comincia a girare e si decide di iniziare a fare anche l’opera. Il primo direttore artistico fu Janos Acs, passammo attraverso un fallimentare Don Giovanni, quindi il famoso Falstaff inaugurale con Rolando Panerai nel 1997, e la Cavalleria Rusticana con Martinucci e la indimenticabile voce della Ghena Dimitrova e al momento del successivo Nabucco, Acs è costretto a lasciare, poiché era il direttore dei tre tenori e giunge Nicola Luisotti, che propose titoli poco conosciuti tra Edgar di Puccini, una splendida edizione delle Nozze di Figaro, si fece Tosca e salutò con la messa da Requiem di Mozart. Titoli non certo per far cassa questi. Sono sempre stato io ad intrattenere contatti con le istituzioni e Vincenzo De Luca voleva volare alto, il dopo Luisotti avrebbe dovuto essere Sergio Escobar, che poi dette inspiegabilmente forfait e fu sostituito da Giandomenico Vaccari, il quale diresse il teatro tra alti e bassi sino all’avvento di Daniel Oren il quale dal 2007, dopo un felice incontro a Parigi, ha preso il massimo cittadino in mano e il resto è, ormai, storia”.

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Olga Chieffi

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