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Dalla parte del cavallo: Die Walküre

  • Aprile 20, 2025
  • Olga Chieffi
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Nella prima wagneriana del Verdi di Salerno di intera produzione bulgara, la vince l’orchestra, diretta da Evan Alexis Christ in particolare negli ultimi due atti e tra le voci quelle di Brunhilde, Gergana Rusekova e Wotan, Olafur Sigurdarson. Otto macchine-cavallo rosso fiamma, in scena per le walchirie di Plamen Kartaloff, aperte agli sbaragli di incalzante energia

A parte il Lohengrin, cui si può dare la qualifica, e la limitazione, di opera giovanile, “Die Walküre” è l’opera popolare di Wagner e nello stesso tempo, il capolavoro dell’artista giovane, prima che la lettura di Schopenhauer lo piegasse, attraverso il pessimismo, al conformismo. Il teatro Verdi ha inteso, accogliere la musica di Richard Wagner, quindi, non a torto con questa opera, essendo alla direzione del massimo cittadino capitata tra le mani questa buona produzione di uno dei sei teatri dell’opera di Bulgaria, quello di Sofia, diretto da Plamen Kartaloff, il quale da qualche anno insiste sul nostro palcoscenico, in primis col balletto, quindi con la regia, sino quest’anno, con l’intera produzione dell’ opera, incluso l’orchestra. Ecco, allora, che il post, che da tempo gira sui social del teatro Verdi, a firma di Andrea Merli, (im)piccione viaggiatore, della nota crew Stinchelli in Barcaccia, nonché al seguito della rivista milanese “L’Opera”, diretta da Sabino Lenoci, attentissima ai teatri dell’Est, ove crediamo leggeremo la recensione completa, dopo il lusinghiero invito, che il nostro teatro batta la Scala, forse dimenticando la splendida interpretazione da parte di Dan Ettinger e dell’orchestra del San Carlo, di appena due anni or sono, non è certo oro di coppella, poiché Salerno ha acquistato in blocco lo spettacolo finanche i tecnici, come speriamo vivamente che nella prossima stagione, la direzione dell’Opera di Sofia per intero una nostra produzione, completa di orchestra, scene e costumi, per attuare il celebrato scambio tra i due teatri. Il glorioso incesto di Sigmund e Siglinda in barba allo scandalizzato moralismo di Fricka, la tranquilla autosufficienza dell’immanenza di Sigmund, che delle gioie celesti del Walhalla non sa che farsene, ma la sua felicità se la vuol costruire su questa terra, in compagnia della sua donna, la ribellione di Brunhilde, ovvero la generosa insurrezione della coscienza morale contro la legge iniqua, tutto ciò che compone un quadro morale di fervido liberalismo, naufragherà poi nel pessimismo reazionario delle ultime due giornate. Se la libera vita errante di Sigmund e Siglinda, fedeli alla loro vocazione, propone un ideale da tutti sognato e poi, a poco a poco abbandonato col cadere delle illusioni di gioventù, la rinuncia di Wotan è lì a documentare il malinconico compromesso con le convenzioni. Tutta basata sugli otto cavalli questa Walküre, giustamente, cavalli focosi, cavalli rossi spostati a mano dai macchinisti, una piacevole e inattesa sorpresa, ma è anche il modo più diretto per leggere i caratteri amari e incendiari delle walchirie, che addirittura son riuscite a molleggiare sulle gambe, mimando un galoppo sollevato moderno. Brunhilde è simbolo di un amore calmo e concitato che ha il ritmo e l’ardore del sangue, che come il rosso bagliore deve coinvolgere spiritualmente e intellettualmente, e al tempo stesso ha da coinvolgerci nella passione morale fino ad emozionarci in uno slancio mistico, fortemente religioso, nel finale. Ma Brunhilde alla sua prima apparizione a colloquio con il padre Wotan viene fatta uscire dal palcoscenico a “passi indietro”, impossibile pensare ciò per un cavallo delle walchirie, che risolverà sempre in avanti, mordendo forte il ferro. Palcoscenico trasformato in ring sin dall’inizio, ove si compie la battaglia per la vita e per il potere, ove si innamorano Siegmund e Sieglinde, ove si attende l’uomo nuovo che libererà Brunhilde, Siegfried, ove tutto si compirà a causa appunto di un ring. Il direttore Evan Alexis Christ ha stranamente ricercato un carattere di apparente modestia, non muscolosa energia, ma introspezione psicologica che, certamente, non sono assenti nell’opera , ma non ne costituiscono probabilmente la “faculté maitresse”. Si è puntato sulle voci, dando al discorso orchestrale una funzione subordinata con tempi sensibilmente larghi, che consentissero il pieno spiegamento del canto, in particolare nel primo atto dove sono avvenute le massime discordie e discordie tra buca e palcoscenico e tra le varie sezioni.Poi tutto si è amalgamato e questa scelta interpretativa ha posto in bella luce il dialogo di Brunhilde, una Gergana Rusekova fresca e animosa e Sigmund e il battibecco tra Wotan e Fricka, una sorprendente Mariana Zvetkova, per incisività di dizione melodica e un ottimo Wotan, Olafur Sigurdarson. Su di una linea sensibilmente inferiore il tenore Martin Iliev poco eroico Sigmund e Bjarni Thor Kristinsson, nella parte di Hunding, unitamente a Sieglinde una Tsvetana Bandalovska con proiezione minima, mentre a completare il cast le altre walchirie Helmwige, (Stanislava Momekova), Ortlinde (Silvia Teneva), Gerhilde (Lyubov Metodieva), Waltraute (Ina Petrova), Siegrune (Elena Mehandzhiyska), Rossweisse (Tsveta Sarambelieva), Grimgerde (Alexandrina Stoyanova-Andreeva) e Schwertleite (Vesela Yaneva). Finale un po’ gettato alle ortiche da parte del maestro direttore, forse stanco dopo quattro ore e mezzo di tensione: non è riuscito a farci pervenire il fondo della tenebra evocata dal compositore che deve esser continuamente lacerato da vertiginose fantasticherie, come le fiamme di Loge, quasi egli fosse capace di sfinirci con la sua energia creativa.

 

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