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Padri e figlie in jazz: dialoghi strettamente familiari

  • Gennaio 10, 2024
  • Olga Chieffi
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Voci ancora da plasmare e progetto agli inizi, quello in cui Danilo Rea e Roberto Gatto hanno presentato in performance le loro figlie vocalist, Oona e Beatrice, ospiti sul palcoscenico del teatro Augusteo dell’Associazione Blue in Green di Valentina Ferrara

di OLGA CHIEFFI

Giornata granata quella del 4 gennaio, ma al teatro Augusteo di Salerno, con buon concorso di pubblico ha debuttato l’Associazione Blue in Green di Valentina Ferrara ed Enzo Nappo. Il nome del sodalizio tradisce la passione per l’eleganza del cool jazz di Miles Davis e Bill Evans e il debutto è avvenuto con il progetto “Generations 4et – Fathers and Daughters”, ovvero il pianista Danilo Rea, il batterista Roberto Gatto con le rispettive figlie entrambe vocalist, Oona e Beatrice. Apertura di concerto sopra le righe con Danilo Rea e Roberto Gatto in duo iniziato con un “Over the rainbow” che ha dato inizio all’abituale viaggio di cui è latore la generazione dei father del jazz italiano. Il tema del viaggio è il marchio di fabbrica del pianista romano, un viaggio che fa tappa in ben sicuri porti, che si chiamano Tico Tico, con profumo di spezie latine, sino a Cancaminin, cancaminin, spazzacamin, un viaggio che è naturalmente trasgressione e contaminazione, con protagonista un wanderer, di schubertiana memoria, che segue un cammino non dirigendosi verso qualcosa di connotabile fisicamente, verso un “luogo” reale, tangibile, ma nelle vesti di avventuriero dello spirito, di un essere che va alla ricerca di sé stesso, o meglio dell’ indefinibile, di ciò di cui una lontana eco del proprio animo rende certi dell’esistenza, sfuggente ad ogni più rigorosa disamina razionale. Il pianoforte lirico di Rea ha sposato i ritmi del cuore di Roberto Gatto, sempre estremamente creativo e in assoluta, elegantissima assenza di qualsivoglia linea retorica. Un viaggio per tutti i sud del mondo che si è concluso a Napoli con Tammurriata Nera e l’omaggio a Pino Daniele, nella sua Notte, con il fascino della melodia, la capacità di improvvisazione, la “libertà” di “rivestire di sé” un canto, la capacità di creare e usare metafore profonde e sorprendenti, l’originalità di melodie uniche, la forza del sentimento “vero” contro ogni divieto “artificioso”, il senso di ribellione alle ingiustizie, l’umorismo con cui affrontare le peripezie della vita, del viaggio di Pino tra i diversi e comuni linguaggi del mare nostrum, un fluxus musicale ossessivo e mistico spaziante dall’Africa, all’Oriente, a Napoli, dai colori caldi e avvolgenti, specchio del suo “contaminato” sentire interiore, che il duo ha omaggiato attraverso Quanno chiove e Napul’è. Quindi, sono entrate in scena le ragazze che hanno proposto il loro personale viaggio attraverso il Gershwin di “They can’t take that away from me”” e “The man J love”, per poi proseguire con “Creep” dei Radio Head, “Everyday Life” dei Coldplay, “Black Coffe”, e la chiusura con il Peter Gabriel di Come Talk to me. Voci diverse quelle di Oona e Beatrice, la prima a caccia di ombreggiature, modulazioni, oscillazioni tonali, di un climax intenso, sensuale, cercando quei magistrali retards, che in duetto con Beatrice si sono rivelati letali per l’intonazione, rasentando in qualche punto, quasi una incolore melopea, sottolineata da una qualche inflessione nasale, la Gatto, invece, ha percorso canoni certamente più classici, la sua voce è specchio di spontaneità, feeling, semplicità, in tempi in cui il linguaggio jazzistico diventa sempre più complesso e lo sviluppo di una diversa articolazione, l’affrontare strade nuove, deve anche poter significare non dover, ad ogni costo, cancellare i legami con un luminoso passato. Applausi e ancora un bis dei soli padri, con l’omaggio a Giacomo Puccini nell’anno del centenario della sua scomparsa e trovandosi anche a pochi metri da un teatro ove impera la bacchetta di un grande direttore pucciniano quale è Daniel Oren, tema e variazioni naturalmente in salsa jazz con “O mio babbino caro” dal Gianni Schicchi e il lancio del “Nessun dorma!” dalla Turandot, una esplorazione del cigno di Lucca non solo attraverso l’improvvisazione sul canovaccio di arie note e meno note, ma anche ritrovando l’eredità del suo travolgente lirismo. Ovazione e bis, non prima di aver presentato due inediti composti dalle ragazze, ovvero Alberi della Beatrice Gatto e Forma di Oona Rea. Il percorso è iniziato per il quartetto, la strada indicata dai padri e le deviazioni, saranno l’essenza di questo spirito attualizzato del proporre standards e pezzi originali: la bellezza del jazz sta nell’infinità di soluzioni, nella libertà dell’improvvisazione, nel divertimento che nasce tra i musicisti quando si suona, sapendosi ascoltare, in un “gioco” “gioioso” che si è già trasformato in una conversazione strettamente familiare, unitamente al pubblico.

Fotografie di FRANCESCO TRUONO

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