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Muhammad Alì e San Bernardino da Siena

  • Febbraio 7, 2024
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Trionfo per Francesco Di Leva al teatro Ghirelli con la pièce sul più grande campione di boxe di tutti i tempi. Il messaggio è quello di tutte le arti di guardare in alto poiché nulla è impossibile

di OLGA CHIEFFI

Quando abbiamo scoperto che San Bernardino da Siena è considerato protettore dei pugili è stata sorpresa lieta. San Bernardino il santo che arringava le folle in volgare e scriveva in latino, che ebbe sempre parole di fuoco per i ricchi i quali, invece d’investire le loro sostanze in nuove attività che sarebbero state di generale giovamento, preferivano prestare a usura per conseguire un egoistico accrescimento delle loro fortune. Bernardino sosteneva, infatti, che la “roba”, cioè l’insieme delle proprietà private di ciascuno, non appartiene all’uomo in quanto singolo individuo, dal momento che proviene da Dio, ma è per l’uomo in quanto essere sociale, come strumento per conseguire un miglioramento della società nel suo insieme.

San Bernardino ci riesce bene di vederlo tra le liti gagliarde, tra le maniche rovesciate e i duelli rusticani a suon di pugni. Eran città di crucci ed ire i Comuni e le orgogliose repubbliche del tempo, città gonfie di agonismi. “Meglio sempre i pugni, in ogni caso” diceva Bernardino degli Albizzeschi, facendo posare i coltelli. Bernardino insegnò agli uomini e ai ragazzi come menar colpi senza fracassarsi le mani e, cosa molto importante, il suo pallino era la difesa, ovvero parare i colpi, affinchè nessuno fosse brutalmente offeso: San Bernardino divenne così anche arbitro che poneva fine ai colpi quando l’onore fosse stato vendicato. Quando attuale l’insegnamento di San Bernardino? Quanti la noble art ha salvato dalla strada? Il più famoso Rocky Marciano, Cassius Clay Muhammed Alì, Ray Sugar Leonard, Roberto Duran, Mike Tyson, il quale aveva come idolo proprio Alì e lo incontrò quando era da ragazzo in prigione.

E i nostri? Patrizio Oliva, Lezzi, Scardina e quanti ancora con i pugni hanno scritto la storia delle proprie periferie, della propria fame. E’ questo Muhammad Alì di Pino Carbone, visto al Ghirelli, con le scene firmate da Mimmo Paladino con cui noi tutti siamo entrati nel corpo e nella mente del campione, facendolo rivivere in palestra accanto al maestro, impersonato dallo stesso Pino Carbone. Con continui cambi di scena fra pantaloncini, fasce e guantoni e quelli civili, Di Leva ha trasformato il palcoscenico in un ring, in cui vi rimane in continuo movimento. “La boxe è uno sport per uomini poveri, per coloro che non possono permettersi di giocare a golf o tennis. Tiene tanti bambini lontani dalle strade. Ha tenuto me lontano dalle strade. Nella boxe devi sapere che puoi vincere. Devi pensare che puoi vincere. Devi sentire che puoi vincere” diceva il suo amico Ray Charles, ‘Sugar Ray’, Leonard. Francesco diventa Cassius Clay anzi Muhammad Ali, perché Cassius è un nome da schiavo. Vince le Olimpiadi di Roma e con l’oro al collo scopre che non può entrare in un ristorante ove mangiano i bianchi. Di lì il fuoco inestinguibile per agire contro il razzismo.

Tante le tappe toccate della vita del campione, il rapporto centrale tra gli uomini, il coraggio di Ali di opporsi al governo per essersi rifiutato di arruolarsi per andare in guerra in Vietnam. Coraggio che gli costò la perdita del titolo di campione dei pesi massimi e il confino dallo sport, unitamente alla condanna a cinque anni di reclusione. Francesco Di Leva ritorna Francesco e telefona a suo figlio Mario, poi scende dal palco prende una donna dal pubblico e le fa impersonare la prima moglie di Alì, Sonji Roi Clay, cameriera in un bar e aspirante cantante, la chiese in matrimonio la sera stessa che si conobbero, ma Alì non sopportava i suoi vestiti corti, il suo truccarsi e Muhammad/Francesco inveisce contro la donna, con una violenza verbale esacerbante, ed è storia di oggi. Ancora una trasformazione in boxeur, l’ultima, in una sorta di ring, senza le corde, con due sgabelli ai lati, un ring come se fosse allestito in uno studio fotografico sotto i riflettori quelli sotto cui per una vita è stato Muhammad Ali. Ma il ring, il palcoscenico sono specchio della vita: in controluce Francesco rievoca il parkinson che scuoteva Alì sotto il cielo delle Olimpiadi di Atalanta 1996, ancora una volta nudo dinanzi al mondo. E allora J am, We are, la chiave che abbiamo ereditato da Alì, uguale a quella che dette ai suoi fedeli San Bernardino da Siena, invitando i maggiorenti a investire in primis nei giovani e nella loro istruzione, per far “buona” la società. Luci, applausi e tutti a ballare sulle note di Stand by me cantata da the greatest Muhammad Alì.

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