Ci sarà il docente di esercitazioni orchestrali del Conservatorio “G.Martucci” con i suoi allievi, nel golfo mistico del teatro Verdi, per le cinque repliche de’ Il Barbiere di Siviglia, con tre cast diversi. Lo abbiamo incontrato in un momento di pausa di prove quasi senza soluzione di continuità.
di OLGA CHIEFFI
Questai sera il sipario del Teatro Verdi si leverà su “Il Barbiere di Siviglia”, una produzione particolare, che saluterà nel golfo mistico del teatro Verdi, Jacopo Sipari di Pescasseroli, docente di esercitazioni orchestrali del Conservatorio “G.Martucci” di Salerno, con i suoi migliori allievi, a sostenere e alimentare quel dialogo buca palcoscenico, su cui canteranno voci del calibro di Massimo Cavalletti nel ruolo di Figaro, genio mediterraneo, quanto il regista Riccardo Canessa, Laura Polverelli in quello della “vipera” Rosina, Filippo Morace, che ritorna per il capolavoro rossiniano, stavolta per dar voce a Bartolo, dopo esser stato Don Basilio, che sarà interpretato da Marco Spotti. Ha le braccia aperte Jacopo Sipari nelle immagini della conferenza di ieri mattina, segno che ha accettato con abnegazione questo impegno con tre cast diversi, che lo ha costretto a tenere dinanzi tre partiture, a sostenere un tour de force di prove senza soluzione di continuità per l’intera giornata, tali da render ardua anche una semplice intervista, tanto quasi da evocare l’ “Ah! non giunge uman pensiero”, di belliniana memoria.
Maestro, è un gran rischio quello che ha accettato di affrontare con i migliori allievi della classe di esercitazioni orchestrali, le voci per i matinèe dedicati alle scuole e, in particolare, concertare i ragazzi con un cast per il cartellone ufficiale di altissimo profilo
“E’ una produzione molto importante questa per tutti. Per il teatro che può visionare e accogliere i suoi strumentisti del prossimo futuro, per i ragazzi i quali incominciano a toccare con mano la fatica d’amore che li attende per il ruolo che hanno scelto nella società, unitamente alla soddisfazione di suonare nel massimo della città in cui si studia, per lo stesso cast che si è posto in gioco, con grande consapevolezza e gioia, per far da padrini a questi talentuosi giovani. Sicuramente tutti ci siamo rivisti giovanissimi e con lo stesso carico di sogni”.
Lei è molto amato dai suoi allievi, ne conta trecento, riesce ad esserci per tutti, come riesce?
“L’insegnamento è una missione. Si è prima maestri di vita, sociologi, confessori, motivatori, quindi, bisogna far innamorare i ragazzi della musica in sé, che a volte sa essere anche bugiarda, quindi si vanno a leggere ed interpretare le note e, una volta guardatisi negli occhi, si potrà anche smettere di parlare e finalmente esprimersi unicamente quel simbolo iridescente che è quello musicale”.
Come si è avvicinato alla musica?
“Io non sono figlio d’arte. Il mio desiderio era donarmi totalmente allo studio delle lettere classiche, sulla traccia di mio padre, coltivavo il sogno di diventare archeologo. Mio padre mi parlava in latino, con mio fratello i segni per “barare” al tavolo da gioco erano parole latine. Ma mia madre, avvocato, pose il veto e per accontentarla son diventato il più giovane avvocato della Sacra Rota, con tesi interamente in latino. Ho iniziato a studiare il pianoforte a nove anni, per completezza culturale, quindi è scoccata la scintilla della composizione, quindi della direzione, grazie ai miei maestri Mauro Cardi e Marco Angius, quest’ultimo che ha saputo incanalare i miei ardori, ed eccomi qua a cercar di far bene, superando anche la delusione inferta a mia madre”
Crediamo che sua madre abbia dovuto da tempo sotterrare l’ascia di guerra
“L’ha sotterrata all’alba del 2009. Ero rientrato a casa e convinto a trattenermi per la Domenica delle Palme. La mia stanza era completamente occupata dai faldoni della tesi, appunti e libri, impraticabile. Andai a dormire nella stanza degli ospiti. La scossa potentissima, delle 3,32 ci colse nel sonno, ingoiò la mia stanza con tutto ciò che era all’interno. Io sono un sopravvissuto, una libreria abbattutasi mi fece da camera d’aria e fui estratto dalle macerie seminudo. La sera precedente avevo lasciato l’auto fuori di ritorno da Napoli per un concerto e il mio guardaroba in quel momento era unicamente lo smoking che si era salvato insieme alla bacchetta. Un segno che convinse finalmente mia madre”
Crisi, ostacoli, fasi di stallo ne ha avute?
“Proprio quell’essere sopravvissuto. Sono intensamente credente e non capivo perché il Signore mi avesse graziato. Poi, ho inteso la mia missione, di cui fa parte in particolare educare alla bellezza i giovani e spendermi per loro. Infatti, ultimate le repliche delle scuole, insieme al Sovrintendente dell’Opera di Tirana, verranno scelti quindici strumentisti del conservatorio da integrare nelle produzioni dell’opera, nonché le più belle voci della nostra istituzione, con le quali il 14 febbraio terrò un concerto nel segno dell’amore con i duetti più amati del nostro melodramma”
A quali bacchette si è ispirato da ragazzo e che stima tutt’oggi?
“Su tutte, Carlos Kleiber, per la cura dei dettagli, la precisione, il solido mestiere appreso dal padre Erich e il lato mediterraneo, quella goccia di sana follia, profumo d’Italia e istinto teatrale. Poi, Simone Rattle, per la sua estrema sicurezza e due sacerdoti del podio Myung-Whun Chung e Carlo Maria Giulini”
Cosa amerebbe dirigere che non ha ancora affrontato?
“Ho due autori nel mio cuore Dmitrij Sostacovic, del quale amo la VII sinfonia, la Leningrad, animata da un’autenticità e da un respiro epico pur ancor oggi vivissimi, e la melodia e le armonie trasparenti di Giacomo Puccini, su tutte Madama Butterfly, ma aspiro a dirigere l’Adriana Lecouvreur di Cilea.
Cosa occorre per far felice Jacopo?
“Fra la sella e la terra c’è la grazia di Dio”, recita un proverbio irlandese, quindi, una volta messo il piede a terra da cavallo, si dovrà bere in compagnia un doppio moscow mule.