L’Opera di Stato di Varna, guidata da Daniela Dimova ha affidato alla bacchetta del M° Jacopo Sipari di Pescasseroli l’esecuzione dell’opera innovativa di Giacomo Puccini, per la regia di Ada Gurra. Tre le voci che impreziosiranno la partitura cantanti Kiril Manolov, Valery Georgiev e Dorina Selimaj
di OLGA CHIEFFI
E’ il momento delle celebrazioni pucciniane del centenario della morte, anche all’Opera di Stato di Varna, in Bulgaria,ove la sovrintendente, Daniela Dimova ha affidato alla bacchetta, ormai messaggera del credo musicale del compositore, del M° Jacopo Sipari di Pescasseroli, l’esecuzione, il 22 e il 24 aprile, alle ore 19, dell’opera innovativa di Giacomo Puccini, per la regia di Ada Gurra. Due le serate che vedranno per la prima rappresentati il primo e il terzo atto Il Tabarro e Gianni Schicchi e nella seconda Suor Angelica e un omaggio al grande Nizinskij sulle tracce della rappresentazione londinese del 1920 al Covent garden, quando lo Schicchi fu accoppiato ai ballets russes di Diaghilev.
“Puccini realizza un miracolo – ha dichiarato il M° Jacopo Sipari, che dirigerà il titolo anche il 26 giugno al Summer Festival di Varna con le scene del Festival Puccini, unitamente alla Bohème del 6 luglio con la Krassimira Stoyanova nel ruolo di Mimì – in musica, parla di noi o, per meglio dire, ha il coraggio di gridarci in faccia quello che tutti noi ci affanniamo a nascondere. Era il 1918 quando questo capolavoro andò in scena la prima volta. Il mondo stava uscendo a pezzi dalla Prima guerra mondiale e la gente si era dimenticata dell’amore, il sentimento che aveva reso grande proprio Puccini. Oggi il mondo è di nuovo sconquassato dalla guerra che sta sfiorando proprio la terra bulgara, riaffermando, così la modernità e l’ universalità di quest’opera attraverso l’antinomia amore e morte che lega le tre opere. Il Trittico, in cui incontrerò la voce di Kiril Manolov, che sarà Schicchi, ed è voce cara a Riccardo Muti, è composto da tre partiture alle quali sono particolarmente legato poiché lo diressi in occasione del centenario dalla sua composizione al Festival Puccini e rappresenta simbolicamente il viaggio introspettivo che sto compiendo in quest’anno pucciniano, in cui mi trovo a portare in giro per il mondo il segno iridescente della musica di Giacomo Puccini”. Il Trittico è composto da tre opere che dimostrano l’alto livello tecnico raggiunto dal musicista e dal drammaturgo, innanzi tutto la perizia con la quale è riuscito a concentrare ogni volta in un solo atto l’intero dramma, al tempo stesso meraviglia con quanta abilità abbia dato l’illusione di lavori molto più lunghi, articolati in due parti, almeno, che possono a loro volta dividersi in tre, seppure minime, secondo lo schema usuale dei tre atti. Nella prima parte, più staccata rispetto alle successive, Puccini illustra, ci dà sfondi e contorni, nella seconda, pone a confronto i personaggi, infuoca l’azione, che poi si consumerà nella terza, in pratica appendice della seconda. Soltanto nello Schicchi, per la sua particolare natura comica, la prima parte dichiara in maniera già esplicita quanto dovrà accadere, perché la beffa di Gianni è doppia e deve trovare un appoggio drammatico-satirico già all’inizio. Economia e concentrazione hanno forti riflessi nella condotta musicale, miniaturizzata, con una scelta quasi antologica di tecniche molto avanzate che daranno spunto al teatro moderno, a quello almeno governato da un meccanismo ridotto, disposto per azioni veloci, senza dispersioni. Anche il gusto, verista-impressionista, assai macerato e filtrato, non potrà che influenzare musicisti come Britten e Menotti, senza contare altri più estesi riflessi. Le due ultime opere sono di ambiente toscano e si nutrono di un humus locale, regionalistico, anche con significato storico. Il linguaggio va dal modale al gregoriano, o gregorianeggiante, al trovadorico, alla vocalità dell’Ars Nova trecentesca, allo stornello folcloristico. Il tutto intrecciato con un’indifferenza elegante che non tocca mai il torpore della lezione, anche perché rinfrescato da soluzioni modernissime. In Suor Angelica, si rivelano molto utili le esasperazioni modali che scivolano verso le scale per toni interi, già sperimentate in Butterfly, come in ambedue le opere serve l’orchestrazione lucida o beffarda, o trasparente come una vetrata, con una qualità arcaica, alla maniera di Stravinskij, e che rappresenta l’esasperazione folcloristica. I due argomenti a loro volta ritraggono aspetti contraddittori dell’animo toscano, sia la tenerezza e il candore, sia la disposizione beffarda, irridente, secca e inesorabile, condita con le maniere di Falstaff. Il Tabarro si cala, invece, nel ventre di Parigi, nell’abbrutimento di Zola. Se da un lato aumenta la carica verista, con riferimenti persino a Giordano, dall’alto indulge al bozzetto, alla fotografia, alla grande aria tardoromantica (l’ultima di Michele che avrà la voce di Plamen Dimitrov), e anche al souvenir esotico, come nella Frugola che sarà Kalina Zhekova ( a questo proposito, va sottolineato che le scale per toni interi, indicano qui, come in Suor Angelica, le rigide chiusure, il passato e la Morte), mentre a completare il cast ci sarà la Giorgetta di Dorina Selemaj, il Luigi di Valerii Georgiev, il Tinca di Plamen Raykov, e ancora il Talpa di Martin Kirov, il venditore di canzonette Plamen Mihaylov e due amanti, Nadezhda Radkova e Artiom Artunov. In quest’opera il paterno e cupo Michele che si macchia del delitto, Giorgetta, che non potrebbe essere più limpida e ardente, pur nel suo comportamento equivoco, e Luigi, la vittima di una situazione sociale osservata con acuto sentimento narrativo. Per tutti e tre i titoli il giudizio riassuntivo non può che elogiare la ricostruzione scenica dei luoghi e il valore espressivo dei dettagli, che entra nella sostanza drammatica e ne appoggia in concreto la realizzazione. Tanti personaggi e tutti importanti a cominciare dal ruolo del titolo di Suor Angelica al quale darà voce Linka Stoyanova, mentre Silvia Angelova sarà la Zia Principessa, Mihaela Berova la Badessa, Galina Velikowa la suor zelatrice Kalina Zhekova, la maestra delle novizie, Liliya Ilieva, Suor Genovieffa, Eleonora Hristova, Suor Osmina, Mariya Chavdarova, Suor Dolcina,Milena Zaharieva, la suora Infermiera Blagovesta Stateva e Krasimira Miteva le cercatrici, Lychezara Georgieva una novizia Polina Bahchevanova una suora. Meno significative le monachelle, ma non potevano che essere uno sfondo vaporoso, incerto e quasi distante contro la figura principale della sorella che cova la sua tragedia nello spietato incontro con la zia, una principessa di gelo che canta in giapponese….
Torna in patria il baritono Kiril Manolov per vestire i panni di Gianni Schicchi, alla testa di un cast che vedrà al suo fianco la Lauretta, di Jana Kostova, quindi Rinuccio Reinaldo Droz, la Zita, Michaela Berova, Gherardo, interpretato da Plamen Raykov, la Nella sarà Dimitrina Raycheva e Gherardino, Tiana Georgieva, mentre Betto di Signa avrà la voce di Lychezar Alexandrov, Simone sarà Evgeni Stanimirov, Marco Velin Mihaylov, la Ciesca, Maria Chavdarova, Maestro Spinelloccio, Martin Kirov, Ser Amantio di Nicolao Ludmil Petrov, Pinellino Petar Petrov e Guccio Ilko Zahariev.
Manolov sarà magnifico attore, oltre che cantante, e sua figlia dalla minuscola e simpaticissima romanzetta, e il suo fidanzato, che apre un canto a Firenze bella con una franchezza quasi “giornalistica”, eppure così presente e sincera. Forse mai Puccini fu più se stesso come nel Trittico, dove ad un pianto struggente segue una lunga sghignazzata, con tutta quella possibile monelleria interamente toscana.