di OLGA CHIEFFI
Teatro San Carlo, pieno in ogni ordine di posto, per ascoltare il premio Paganini Giuseppe Gibboni, il quale è in tour nei massimi teatri italiani. Mercoledì 21 giugno, la Festa della musica si è consumata sul palcoscenico del massimo napoletano, il più bello del mondo, che ha accolto il debutto del giovanissimo violinista, diretto da Dan Ettinger in una serata interamente dedicata a Petr Il’ic Cajkovskij con l’esecuzione del concerto per violino e orchestra in Re op.35 e a seguire, la V sinfonia, op.64 in Mi Minore. Giuseppe Gibboni sa oramai crearsi una bolla intorno, quell’aura che gli ha permesso di superare ogni piccola discrepanza con l’intenzione del direttore e della formazione. Sue la corposità del suono e la brillantezza della tecnica, in competizione con un’orchestra e un direttore decisi a tagliarsi una parte rilevante nell’esaltazione del clima passionale. Se, infatti, certi struggimenti, nell’Andantino, possono appartenere al solista , che non si è mai lasciato andare in facili abbandoni, nello sviluppo del tempo, l’orchestra lo ha incalzato quasi volesse bloccare col peso degli accordi l’ingresso dell’ampia cadenza. Giuseppe sia nelle varie cadenze che nel rondò con refrain variato che conduce alla coda articolata e fiammeggiante, una pagina catturante che non conosce distrazioni e respiro, degno finale sulfureo pur nella sua eleganza, ha dato il meglio di sé sfoggiando, oltre alle travolgenti acrobazie del virtuosismo, la varietà di colori, di sfumature, che ha rivelato la ricchezza del capolavoro, attraverso la sua eccezionale maturazione musicale. Applausi scroscianti e, naturalmente, bis. Era già nell’aria il Paganini dei Capricci, la bibbia di ogni violinista, da lui incisa per intero a soli diciassette anni per la Warner, il funambolico V e il XXIV capriccio, quello cosiddetto del diavolo, del genio genovese, estro e bizzarria per le variazioni sul tema della Follia. Poi, inatteso, carismatico, l’adagio dalla sonata di Johann Sebastian Bach in Sol Minore. Dopo tanta tensione, la ricerca della distensione, del silenzio: nessuna concessione alla spettacolarizzazione del complesso pensiero dell’autore, nessun volo pindarico, ma solo quel percorso intimo e individuale di chi frequenta Bach per sé, per la propria anima. Un violino in difesa della bellezza della pagina bachiana e per noi i bis avrebbero dovuto terminare con Bach, ma si sa, Giuseppe Gibboni suona per la gioia e per il “gioco”, due termini che hanno la stessa radice in greco, insieme a terra e conoscenza, e ha inteso donarci anche il capriccio che apre la raccolta, detto l’Arpeggio, sfociante nelle scale discendenti per terze. Congedo con ancora tante chiamate al proscenio e seconda parte della serata con la V sinfonia eseguita da un’orchestra che aveva bisogno di ritrovarsi dopo i frequenti scioperi. Ammirevole il controllo e l’ascendente che Ettinger ha sulla formazione che è apparsa formata tutta da ottimi elementi, a partire dalla KonzertMeister, Daniela Cammarano, sottoposti ad una prova impegnativa dalla scrittura del genio russo, capace anche di esaltare le caratteristiche strumentali e la precisione dell’orchestra. Forse la pagina più scandagliata è stata il bellissimo secondo movimento, reso in tutta la sua magnificenza e profondità espressiva. L’ “Andante cantabile con alcuna licenza” è una delle pagine più ispirate non solo del tardo Romanticismo, ma della musica classica in generale. L’assolo iniziale del corno ha esposto in tutta la sua delicata trasparenza il motivo puro e semplice, sul quale a sua volta l’oboe è andato ad innestare con discrezione il secondo tema altrettanto commovente, che sembra evocare dolci ricordi lontani. Gli sviluppi successivi e gli intrecci hanno offerto combinazioni melodiche infinite e l’orchestra si è compattata con tutta la sua forza e intensità.
Il direttore non si è fatto certo pregare quando si è trattato di lasciare fare ai musicisti, raccomandando sempre il “respiro” all’intera formazione, quel “quid” che sempre ci si aspetta da Ettinger, ma altrettanto stupefacente è stato il controllo da parte del direttore dei dettagli strumentali sottili e dei piani sonori, come abbiamo potuto apprezzare in particolare nei timpani, nelle ance e negli ottoni. Applausi per tutti e l’augurio per Giuseppe Gibboni e Daniela Cammarano e le loro due famiglie musicali lo affidiamo all’Alessandro Baricco di “Castelli di rabbia” e a quella “nota” che tutti noi, che abbiamo ogni giorno a che fare con la musica abbiamo dentro: “Affilatevi le orecchie fino a quando arriverete a sentirla e allora tenetevela stretta, non lasciatela scappare più. Portatela con voi, ripetetevela quando lavorate, cantatevela nella testa, lasciate che vi suoni nelle orecchie, e sotto la lingua e nella punta delle dita”.