Trionfa il Duo Colbran, formato dal soprano Giulia Lepore e dall’arpista Alba Brundo, che ha chiuso la prima parte della terza edizione della rassegna salernitana dell’Associazione “Alessandro Scarlatti”, con un viaggio che dal Settecento napoletano ci ha portato sino a Lennie Bernstein
di OLGA CHIEFFI e SIMONE PARISI
Rubiamo il termine “essercizio” a Domenico, figlio di Alessandro Scarlatti, che si ritiene il fondatore della scuola musicale napoletana, sebbene ne sia solo stato uno tra i rappresentanti più illustre e più fruttuosi, al quale è dedicata la centenaria associazione guidata da Oreste De Divitiis e Tommaso Rossi, per descrivere il concerto affidato al Duo Colbran, che ha aureamente sigillato sabato sera, la prima parte della terza edizione della rassegna promossa, nella Chiesa di San Giorgio, dal sodalizio napoletano. La serata è stata affidata al soprano Giulia Lepore, il cui cognome tradisce stigmate musicali preziosissime e dall’arpista Alba Brundo, una formazione rara e non semplice da realizzare, che ci ha fatto trovare dinanzi ad una piacevolissima sorpresa.
La formazione ha inteso principiare la serata, intitolata “Melodie Dal Mondo”, con una pietra miliare delle pagine dedicate alla corda sopranile, “Stizzoso, mio Stizzoso”la celebrata aria di Serpina, da “La serva padrona” di Giovanni Battista Pergolesi, nell’ interpretazione alquanto coinvolgente della Lepore, in duo con il tocco delicato dell’arpa, che è riuscita a ricreare sonorità e corpo di un’orchestra reale, oltre ad evocare il cembalo. Il duo ha deciso di omaggiare la propria città dando l’abbrivio al viaggio nelle melodie planetarie proprio dal capoluogo campano, proponendo pagine storiche della musica della grande scuola napoletana, con il Giovanni Paisiello di “Je revois l’object que je l’ame”, aria in lingua francese in cui la cantante ha dato prova di un grande controllo espressivo e un timbro caldo e pieno, accompagnata dal suono mitico dell’arpa che senza eccedere ha fatto valere la propria presenza.
A seguire, due pezzi originali scritti da Isabella Colbran, dal quale il duo prende il nome, compositrice acclarata nel mondo napoletano del tardo 700′, moglie di Gioachino Rossini, regina del Bel Canto e soprano che imperava sulle tavole del Real Teatro San Carlo di Napoli, “Ad Onta del Fato” e “Mi lagnerò tacendo” , due splendide pagine, tratte dalle sei canzoncine, di stampo molto diverso una dall’altra, la prima di vocalità molto tecnica, molto ben gestita dalla Lepore, con accompagnamento a tratti solistico dell’arpa che, con un pizzicato ben marcato, si è innescata bene nel contesto storico, l’altra in modo minore molto colorita, con una melodia struggente posta molto in rilievo. Il viaggio è continuato con una composizione, stavolta in lingua spagnola, “Boleras de la bola” di Federico Moretti, brano originariamente scritto per chitarra e voce, raffigurante un litigio coniugale eseguito in maniera ideale dalle Colbran con particolare attenzione alla timbrica mista tra cultura partenopea e ispanica, l’arpa è sembrata essere suonata con il plettro offrendo, così, al pezzo la giusta personalità. Giunse, quindi, il momento dell’arpa solista con il brano originale di Giovanni Caramiello, dal titolo “Rimembranze di Napoli” una fantasia sopra motivi popolari, proposta da Alba in maniera delicata, mettendo in mostra tutto il sentimento racchiuso in quelle note. Dal Sud Italia a Mosca con un celebre brano di Aleksandr Aljab’ev, sulle cui note è rientrata la cantante, “Solovey”,l’usignuolo, con cui il concerto ha preso una piega diversa, l’inizio molto frenetico dell’arpa ha posto l’uditorio in tensione poi ripagati dalla celestiale melodia della voce ispirata al canto melodiose e virtuoso dell’usignolo, in un contrasto strappapplausi. Ritorno in Spagna con la “Nana” di Manuel De Falla, scritta originariamente per chitarra e voce; ninna nanna che presenta una verticalità e orizzontalità bizzarra.
Il viaggio è proseguito con l’ HectorVilla Lobos della “Bachianas Brasileras” n°5, in cui ritmo, melodia, tecnica, armonia si fondono insieme, dando vita a questo brano incalzante, ma allo stesso tempo molto passionale, in cui il duo si espresso con grande intensità eseguendolo egregiamente. E’ ancora il momento dell’arpa solista con il Gabriel Faurè di “Une chatelaine en sa tour” , pezzo decisamente complicato ma che non ha per nulla intimorito Alba, la quale, con grande carattere ha affrontato il brano, caratterizzato da eterei arabeschi, quasi una danza, sigillata da due glissando. Un salto in Armenia con la raccolta delle “Folk Songs” di Luciano Berio e la sua “Loosing Yelav” in lingua originale; brano tormentoso in cui la cantante è stata messa a dura prova, ma ha illuminato la platea con la sua solida duttilità tecnica, animata da una personale impronta interpretativa. Ancora un omaggio, stavolta al mondo delle compositrici, con Eva Dell’Acqua con “Villanelle”, un brano in lingua francese allegro e dal carattere popolare, annunciato dagli arpeggi iniziali dell’arpa che schizzano la cornice del pezzo che accennerà a riproporsi nel corso del tempo.
Qui il duo è sembrato essersi abbandonato ad una spensieratezza che lo ha portato ad eseguire la pagina con efficace essenzialità. Il giro del mondo si è concluso con la “Piccola Serenata” del genio della bacchetta e non solo, Leonard Bernstein, un “gioco”, che ci ha ancor più convinto delle affinità condivise dalle due musiciste. Standing ovation e bis, con la Canzona Marenara, di tradizione procidana, ma attribuita a Gaetano Donizetti, che tanto piacque a Stendhal, tanto da citarla nel suo diario partenopeo: “Qualcosa di straordinario passava in quella canzone: forse l’eco irresistibile della voce della sirena, certo l’anima di una città favolosa”.