Il nuovo anno celebra il cinquantenario della scomparsa di Edward Kennedy Ellington, The Duke. Il mondo si prepara a celebrare una delle massime personalità del Novecento, così come lo farà con una due giorni il Ravello Festival. Abbiamo raggiunto i due massimi pianisti del jazz Danilo Rea ed Enrico Pieranunzi, per una parola illuminante sul caposcuola americano
di OLGA CHIEFFI
ll 2024 è l’anno del cinquantenario della morte di Duke Ellington, pianista, band-leader, musicista che in sessant’anni di attività ha prodotto circa 1200 composizioni, consistenti in centocinquanta ore di musica personalissima, riconoscibile alle prime battute, spesso toccata dal soffio della poesia, aristocratica e popolare, colta e disimpegnata, lirica ed effervescente, impossibile da definire in tutte le sue sfaccettature, certamente la più fulgida testimonianza dell’arte nero-americana del nostro Millennio. In tutto il mondo verrà celebrata la sua unicità, così come lo farà il Ravello Festival che ospitò la Duke Ellington Orchestra guidata da Mercer Ellington, con una due giorni molto particolare, oltre che per offrire The indispensable di una quantità di musica più abbondante di quella prodotta da Verdi o da Wagner, ma anche per sfatare ogni perplessità manifestata in campo critico di fronte a questa sterminata produzione. E’ certamente banale osservare come nel corso della sua attività la sua arte si sia evoluta e modificata, un vero e proprio movimento del pianeta Ellington nel cielo del jazz, i cui effetti che vengono attribuiti alla forza centripeta o centrifuga del suo moto attorno a quel nucleo di cose in cui viene identificata l’idea del jazz stesso. Abbiamo raggiunto i due massimi pianisti italiani Danilo Rea ed Enrico Pieranunzi che ci hanno donato qualche parola sulla loro esperienza con la musica ellingtoniana.
“E’ questo l’anno celebrativo – ha dichiarato Danilo Rea, che il 4 gennaio sarà in concerto al teatro Augusteo di Salerno con il progetto “ Generations 4et-Fathers and Daughters” – di due Artisti straordinari, Giacomo Puccini e Duke Ellington, non sempre compresi nella loro grandezza, capaci di mischiare culture, linguaggi, facendo diventare una musica molto complessa popolare, emozionante e soprattutto alla portata di tutti . Musica meravigliosa ed innovativa, mai dimentica della capacità di emozionare offerta dal loro straordinario senso melodico. Così bella da essere stata a volte definita”commerciale e ruffiana”….mai giudizio fu così banale, in particolare per Puccini. Due Artisti, due pietre miliari, le cui note rimarranno con noi fino alla fine dei tempi”.
Enrico Pieranunzi dalla Danimarca ci ha donato il suo ricordo personale di Duke Ellington. “Per ragioni di età io ho ascoltato Ellington dal vivo nel 1970 a Roma, al Piper. Lui aveva 70 anni e io rimasi letteralmente scioccato dal suo carisma. Conoscevo la sua musica attraverso i dischi, anche se le mie preferenze mi portavano oltre la swing era, verso Parker, Coltrane. Chiaramente non si poteva non andare, ero curioso, l’orchestra aveva età avanzata ma aveva ancora due personaggi storici quali il sax baritono Harry Carney e il trombettista Cootie Williams, Johnny Hodges era scomparso da poco e la sua sedia era stata lasciata vuota, una cosa emozionante. L’orchestra di Ellington meriterebbe pagine e pagine per poterla descrivere. Lui era un genio in tutti, anche come pianista, anzi soprattutto, come tale, anche se certa critica gli era contraria, ma assolutamente il suo tocco era riconoscibilissimo al primo attacco, che è dono solo dei grandissimi. Magia, creatività e personalità che ho potuto toccare con mano. L’orchestra proveniva direttamente da Palermo ove si era esibita nello stadio della città in contemporanea con Aretha Franklin e per compattarsi al Piper ci mise ben un’ora e un quarto. In ultimo giunse lui, il Duca, vestito come un capo tribù indiano e la stanchezza scomparve. Un solo sguardo (e questo ricorda il fuoco negli occhi del direttore d’orchestra Valery Gergiev, lo “Czar” n.d.r.) e la macchina partì con la massima compressione ed energia. Un concerto indimenticabile. Musicalmente come compositore Duke ha lasciato un patrimonio pazzesco, di carattere diverso, lirico, quale Prelude to a Kiss, pagine incredibili che stanno nei pezzi sacri, come Come Sunday o, ancora, Solitude. A differenza di Count Basie, che formava ottime orchestre con grandi strumentisti, Duke pensava al suono dei propri solisti e scriveva per loro. Una cosa eccezionale fuori di ogni normale schema, per la quale viene in mente Pirandello che scriveva per quegli attori. Purtroppo, dopo di loro tutto sembra tutto più piccolo e ristretto. Loro lasciano una grande eredità e devo dire che ogni qualvolta io esegua un brano di Ellington o lo ascolti nella sua versione originale, mi mette ancora oggi soggezione, nonostante abbia suonato con tanti grandissimi. La storia del jazz ha le sue tappe Armstrong, la swing era, Parker, Coltrane, Davis, fino ad oggi, ma Duke Ellington è un fiume a parte, è Ellingtonia”.