Domani sera e venerdì, alle ore 20,30 sarà di scena sul palcoscenico del teatro Ghirelli Michele Schiano di Cola, diretto da Teresa Ludovico.
di OLGA CHIEFFI
Dopo il successo de Il Bacio della vedova, Teresa Ludovico torna al Teatro Ghirelli domani e venerdì alle ore 20,30, con il suo nuovo spettacolo, Barabba, un testo del drammaturgo e artista Antonio Tarantino, scomparso nel 2021. Talento irregolare della nostra drammaturgia, Antonio Tarantino, scomparso due anni fa, è un nome fin troppo poco celebrato del teatro italiano. Un maestro, vincitore di due Premi Riccione, tre Premi Ubu, che costruisce, per empatia, personaggi borderline, verso i quali nutre una umanissima pietas.
Il mondo, il nostro mondo, è forse quello che le parole del profeta bandito Barabba ci vengono descrivendo in questo estremo sproloquio invettiva?» si chiede Antonio Tarantino, drammaturgo degli ultimi, autore della marginalità, ai margini egli stesso. Tarantino è poeta della sacralità che sta ai margini, che è tale perché concentrato di vita separata, sotterranea, nascosta. Nella piéce, Barabba, nome che significa figlio del padre, è nella sua cella, è testimone della condanna, dell’insensato martirio di Gesù Figlio del Padre. Non è un caso che Barabba si chieda: «Il mio nome?!/quale nome?!/ gesubarabba?!/ io o lui?/ anche lui è un barabba!/ Un gesù/ tale e quale a me?!/ Ma allora io chi sono?!/ Io sono lui o lui sono me?!/». Antonio Tarantino ci presenta un Barabba incarcerato, in attesa d’essere liberato, graziato e testimone del martirio di quell’altro Barabba Gesù. E guarda caso in questo testimoniare rabbioso e incredulo per la ricerca di quella verità: «eccola là crocifissa, la verità, inchiodata alla croce come la farfalla dell’entomologo è fissata al suo album con tre spilli: ecco a voi la verità! Ma quale verità? La verità di sistema, quella che due più due fa quattro ma solo per l’aritmetica entro i confini dell’aritmetica». Viene in mente, improvvisamente come detrito della memoria, “Memorie del sottosuolo” di Dostoevski, da cui fuoriesce l’uomo, in tutte le sue contraddizioni, dopo quello scavo compiuto con lucidità e lungimiranza impressionanti, come
nella consapevolezza del Barabba di Antonio Tarantino: «Ma è la grandezza della verità: di non vedere un palmo oltre il proprio naso: di essere derisa e insultata e rispondere ad ognuno di questi affronti con benedizioni: di morire in croce come un rivoluzionario violento ed eroico e impartire la benedizione urbis et orbis. Non è forse questo il comportamento di un pazzo? Allora la Verità è Follia!». Eppure nella rabbia e nella pochezza di questo Barabba pusillanime e gretto c’è alla fine la consapevolezza di quel sacrificio che libera, di quel sacer facere, fare il sacro che disvela un mondo altro, altro forse perché sospeso nella separatezza della parola che salva. E così il Barabba di Tarantino afferma: «Ma se lui mi ha assicurato che me la caverò allora vuol dire che ci devo credere perché è venuto qualcuno che mi ha voluto bene. Roba da matti».