L’ensemble ha infiammato il teatro Teatro Ghirelli, inaugurando con successo la IV edizione della rassegna di Contemporary Speech firmato dal Progetto Sonora e dai “Concerti d’Estate di Villa Guariglia
di ALFONSO MAURO
Un elegante e intenso folk donatoci dall’Ensemble degli Ars Nova Napoli ha inaugurato la IV edizione del Contemporary Speech realizzata con la partnership dei “Concerti d’Estate di Villa Guariglia”. La formazione composta da Marcello Squillante voce e fisarmonica, Gianluca Fusco voce, chitarra, organetto, gaita, Vincenzo Racioppi mandolino e charango, Michelangelo Nusco violino e tromba Bruno Belardi contrabbasso e Antonino Anastasia percussioni, ha proposto “E senza acqua la terra more”, che è il titolo anche del loro ultimo progetto. ll suono scelto per la prima serata, qui ci viene incontro il greco, in un termine, che ha in fusa la sua etimologia, soffio e armonikòs, fusa come fysis, natura, in una mescolanza simbolica che è alla ricerca del nuovo linguaggio, una particolare idea di suono, resta un altro parametro che sollecita parallelismi con la ricerca linguistica del Novecento eurocolto, ma che guarda a anche a quattro secoli prima in cui tanto valore è attribuito al colore, al timbro. Un’idea di suono intesa come la voce personale degli artisti e riflettenti quella dialettica voce-strumento, strumento-voce. Suono inteso come “voce interiore”, trasformantesi in canto d’amore, nostalgico, passionale, ma anche di denuncia. Il gruppo ha il cuore a Napoli, ma travalica ogni confine, poiché è giusto lo specchio della loro città. Se la serata è stata inaugurata da una tarantella, Masaniello, siamo andati poi a Mi voto speziata nella seconda di evocazioni slave ed ungheresi, “un’atmosfera tutta particolare che non si può definire con parole.
Gli influssi stranieri sono troppo evidenti per poterli negare. Nel bassopiano nevoso la musica è per lo più turca, nella Moldavia per lo più ungherese. La maggior parte delle melodie da danza è russa o greca. Ma nessuno deve addolorare: da tutti questi dialetti musicale nasce un particolare carattere personale” (Bela Bartòk). Le parole del compositore per schizzare questi brani riletti con animo busker, zingaro, ovvero, quello offerto loro da quel popolo strano che vive unicamente l’Istante, muove platonicamente da lì, senza avere ieri, né domani. Zingaro, può dirsi un anarchico dell’esperienza; per lui la vita è come ripetizione di un gioco. L’indefinitezza spaziale in cui si svolge il suo movimento del peregrinare, si risolve ogni volta nella totalità dell’istante : se l’istante che brucia il tempo lo pensiamo “infinito”, vuol dire che il destino umano resta sospeso all’aorgico, nessuna forza umana può comprenderlo in una definizione, resta infinito, sconfinato, libero, come la Musica.
Ecco allora gli strumenti che guardano a questo genere di musica come il violino virtuoso di Michelangelo Nusco, che sa imbracciare anche la tromba, con un suono adeguato ad artisti di strada, sino alla gaita di Gianluca Fusco scesa in campo fieramente per la Catalana, e un passaggio nella nostra “Terra del rimorso” per dirla con Ernesto De Martino lo si doveva pur fare con il patrimonio della pizzica e degli altri balli popolari per esprimere la propria corporeità in figure che andavano dall’imitazione di gesti legati al lavoro agricolo, all’atto propiziatorio, dal corteggiamento al rito terapeutico, come si è notato anche in sala con il pubblico che ha anche accennato a qualche passo di danza. Il concerto degli Ars Nova si è rivelata una indagine intorno all’era della “Musica totale”, di un tempo e di musicisti che devono aprirsi a tutto tondo alla conoscenza e, possibilmente, anche alla prassi, di tutti i sistemi armonici e contrappuntistici, di tutte le forme musicali, anche quelle cristallizzate in generi, di tutte le esperienze sonore delle etnie dei popoli; quindi, di un musicista e di un pubblico che possieda la storia della musica, accanto alla storia delle musiche.
L’ensemble è stato infatti, latore di questo ed altro che fa parte della storia collettiva e dei vissuti individuali raccontati in musica e poesia dai canti tradizionali i quali, tuttavia, di un ricco patrimonio di “bellezza”: il fascino della melodia, la capacità di improvvisazione, la “libertà” di “rivestire di sé” un canto, la capacità di creare e usare metafore profonde e sorprendenti, l’originalità di melodie uniche, la forza del sentimento “vero” contro ogni divieto “artificioso”, il senso di ribellione alle ingiustizie, l’umorismo con cui affrontare le peripezie della vita. Si canta anche “per sbariare”, ma la melodia di queste canzoni “contaminate”, come anche le serenate o Jarpi ssau barcuni, sino a Oi nenna ne, ha un profumo che le rende inconfondibili, come una lingua perduta, della quale abbiamo forse dimenticato il senso e serbato soltanto l’armonia, una reminiscenza, la lingua di prima e, forse, anche la lingua di dopo.
Musiche e versi che con i loro contenuti ci hanno raccontato semplicità ed erotismo, essoterismo e magia, rituali sacri e profani, feste popolari. Ed è proprio qui che trova origine questo incredibile progetto, dove le suggestioni, le intonazioni, le evocazioni del vernacolo si trasformano in un canto ora dolente, ora euforico, capace di esprimere l’eterno incanto dei sensi. Dal mare sono nate e al mare ritornano, infatti, le note di questo concerto, che abbracciano la tradizione popolare, completata dalla memoria sonora collettiva con il vigore ritmico e l’aggressività espressiva che sa trasformarsi in danza e nella eterna sfida alla vita.