di OLGA CHIEFFI
Sarà un giorno particolare, domani, per tanti strumentisti della Banda Musicale dell’Aeronautica Militare, a partire dal suo direttore il Maestro Pantaleo Leonfranco Cammarano, fresco di nomina, il quale sul podio del Parco della Musica di Roma, dette il via lo scorso inverno, alle celebrazioni per il centenario dell’Arma dei Cieli. Riflettori dell’auditorium della Rai di Napoli, accesi alle ore 19, sulla prestigiosa formazione che tingerà ancora più di azzurro, i luoghi e il cielo di una città da tempo in festa, legata all’Aeronautica con l’accademia che ha sede nella vicina Pozzuoli. La prestigiosa scuola di fiati salernitana, è sempre stata serbatoio di eccellenti strumentisti e domani oltre a diverse prime parti , sarà proprio il Maestro Leo Cammarano a tener alto il nome della nostra tradizione, oltre che della sua musicalissima famiglia.
Programma composito e brillante per il concerto partenopeo, che principierà con la intensa marcia d’ordinanza composta nel 1937 dal primo maestro direttore della banda della Regia Aeronautica, Alberto Di Miniello, che ha arrangiò una melodia di Romualdo Marenco, tratto dal balletto “Amor”. Preludio per un altro centenario importante che verrà celebrato nel 2024 è quello della scomparsa di Giacomo Puccini. La formazione eseguirà, quindi una trascrizione della Tregenda dal secondo atto de’ “Le Villi”, pagina figlia del suo tempo, ossia di autori cari alla Scapigliatura. Parente povera, invero, della “cavalcata delle valchirie” del grottesco di Berlioz del demoniaco di Weber e degli scherzi fantastici di Mendelssohn con un “retrogusto” di Carmen. Si passerà, quindi all’Intermezzo drammatico di Cece, eccellente e raffinato compositore della grande scuola napoletana.
Padrino della Banda dell’Aeronautica Militare fu nel 1937 Pietro Mascagni. Del compositore livornese il Maestro Leo Cammarano ha scelto di eseguire la sinfonia da “Le maschere” che aprì il secolo breve. Un brano di ragguardevoli difficoltà tecniche – articolato fra due episodi di natura contrapposta, l’uno brillante per tutti i legni, l’altro patetico, appannaggio prima delle ance e poi dell’oboe, fra i quali si insinua persino uno scoperto solo del corno, in una particolare trascrizione per fiati. Charlie Chaplin è stato il più grande tra i grandi che hanno potuto permettersi la schermata “Scritto, diretto e interpetrato da” in apertura del film. Ma l’Oscar non lo ha vinto in nessuno di questi ruoli: lo ha ottenuto, invece, come compositore, nel 1972, per la colonna sonora di Limelight (peraltro uscito vent’anni prima ma rimasto lungamente oscurato negli Stati Uniti per via del maccartismo). Infatti, e questo è un caso assolutamente unico, egli poteva aggiungere a questa già invidiabile centralizzazione di ruoli “musiche di Charlie Chaplin”. La banda regalerà un medley di quei temi, arrangiati da Peeters, che sono nel sentire di tutti noi, che il genio inglese compose, intonando la melodia con la bocca chiusa mentre si accompagnava piano e un giovane David Raksin– che stava lì perché raccomandato da Gershwin- trascriveva le note sulla partitura, dato che Chaplin non sapeva leggere la musica che doveva fungere da “contrappunto” alle immagini, non inseguire la comicità ma sovrapporle uno strato sentimentale.
Sarà quindi il momento del portrait dedicato a Renato Carosone, pezzi di musica ben assemblati, gocce d’America, di flamenco, di tango, di bajon e di cultura musicale napoletana, ripulita da memorie imbalsamate. Immortale musica da film, poi, con Howard Shore e i suoi leitmotiv creati per “The Lord of the Rings”, pensati per grande orchestra e con echi che richiamano culture antiche e lontane nello spazio e nel tempo, rispetto al mondo occidentale. La forza e la complessità dei leimotiv sta proprio in questo: descrivere in maniera profonda il vero significato di ciò che stiamo guardando, ma soprattutto lo descrive in maniera diversa dalle immagini e dalle parole, con un linguaggio più sottile e subliminale. Finale tutto in cielo, con nel “Blu dipinto di blu” di Domenico Modugno e la sua forza innovativa e coraggiosa, la sua modernità, la generosità, il fascino travolgente e intramontabile del suo stile, il simbolo del sogno di un’Italia che stava risollevando la testa nel 1958, e il secondo inno d’Italia “’ O sole mio”, scritto ad Odessa da Giovanni Capurro ed Eduardo Di Capua, ispirato da una splendida alba sul Mar Nero e dalla nobildonna oleggese Anna Maria Vignati-Mazza detta “Nina”, vincitrice a Napoli del primo concorso di bellezza della città partenopea, simbolo di un canto perduto figlio della poesia, che ha espresso, come gli è universalmente riconosciuto i sentimenti, la storia e i costumi di un intero popolo.