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A Pekino, al tempo delle favole, con la Musica protagonista

  • Settembre 19, 2025
  • Olga Chieffi
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Il 19 e il 20 settembre il Maestro Jacopo Sipari di Pescasseroli dirigerà Turandot al teatro dell’Opera di  di Łodzi in Polonia, ospite di Arcin Nalecz-Niesiolowski e Rafal Janiak. La regia è stata affidata a Adolf Weltschek, la Principessa di Gelo sarà Diana Axentii, mentre Calaf, Dominik Sutowicz. La ricerca del direttore volgerà verso la tensione nei riguardi del Sacro in Giacomo Puccini

 Grande attesa al Gran Teatro di Łódź  per venerdì 19 e sabato 20 settembre, quando, alle ore 18,30, per la regia di Adolf Weltschek, si leverà il sipario su quell’opera chic, costellata di inquietitudini linguistiche e psicanalitiche, ma alfine legata anima e corpo, nella sua audace crosta impressionista, a un autentico retour à l’antique, che è la Turandot di un Giacomo Puccini, che dopo la quasi completa disgregazione della struttura operistica compiutasi tra Bohème e La fanciulla del West, sembra voler gradualmente ricomporre quel frammentarismo della prima maturità entro una specie di calco formale freddo e insieme dovizioso, dove le allusioni a Ravel e a Stravinskij, per quanto appariscenti e dotte, sono esclusivamente allusioni ormai, e non premonizioni come ai tempi di Bohème e Butterfly. La parte strumentale, è elaboratissima. Puccini si serve praticamente di due orchestre. Una, infatti è collocata in scena e include trombe, tromboni, percussioni e un organo. Per il resto l’organico, che sarà guidato da una delle massime bacchette “pucciniane” il Maestro Jacopo Sipari di Pescasseroli, ospite di Arcin Nalecz-Niesiolowski e Rafal Janiak, è completo in ogni rango, per schizzare l’atmosfera di Turandot, attraverso effetti coloristici violenti e preziosi al tempo stesso, sei trombe, quattro tromboni, di cui uno basso, tamburo di legno, gong grave e nella lunghissima lista anche due saxophoni alti, che legheranno il loro timbro misterioso e dolcissimo al coro delle voci bianche, doppiandoli dal dietro le quinte  nel primo e nel secondo atto, allorché entrano in scena, nascosti, nel momento che precede l’entrata della principessa. Dal palco intoneranno, infine la melodia con cui l’imperatore si congeda. E ancora percussioni e idiofoni sono inseriti in un tessuto ritmico dominato da figure ostinate, fra essi gong cinesi, xilofono glockenspiel, campane tubolari e triangolo, mentre gran cassa, tamburo di legno e tam-tam animano i passaggi più barbarici. Otto i temi “cinesi” dislocati nella partitura ma sviluppati con un particolare procedimento “esotico” catene di bicordi e accordi paralleli, ma anche riproduzioni di procedimenti polifonici praticati in Oriente come l’eterofonia, ossia l’esecuzione simultanea di diverse varianti di una stessa linea melodica, caratteristiche di uno spettacolo in cui le ragioni dell’occhio, ad un orecchio attento, risultano sottomesse alla struttura musicale. Troviamo tracce anche del “Le Sacre du Printemps” di Stravinskij del 1913, soprattutto nella scena della morte di Liù, oppure di “Pelléas et Mélisande” di Debussy del 1902. Questi frammenti vengono ripresi e modificati alla luce del suo stile inimitabile e resi personali. Ma tutto guarda al Tristan und Isolde di Richard Wagner, figura che ha attraversato l’intera sua vita di musicista, sin dalle partiture sottratte, studiate e citate ai tempi del conservatorio. “Tristan” scrive negli appunti su Turandot Puccini, no Parsifal, ma il Maestro Jacopo Sipari vede in Turandot e, in particolare, nella figura di Liù, il segno del sacro del genio di Lucca “In primis sono contento di ritornare qui a Lodz – ha dichiarato il direttore abruzzese – che ha il secondo teatro di Polonia, una splendida orchestra e palazzi interi dedicati alla realizzazione di scene e costumi, per regie sfarzose adatte ad un palcoscenico enorme. Turandot è un’opera alla quale sono particolarmente legato, poiché è una delle prime opere che ho diretto per il Festival Puccini, è l’opera del Nessun Dorma! L’aria che tutti i tenori sognano di cantare e tutti i direttori di dirigere. E’ un’opera alla quale ho dedicato, per un certo periodo della mia vita, uno studio particolare, perché è mia convinzione che fosse il testamento spirituale di Giacomo Puccini, da leggere quale proiezione evangelica. Il principe ignoto, il sacrificio di Liù per amore, l’Amore salvifico, possono essere indizi della strada verso la redenzione di Puccini. Anche il non compiuto, la chiusura, con la morte di Liù, personalmente l’associo al sacrificio di Cristo, per l’Umanità, una risposta, una strada altra, alla quale Puccini tendeva nell’ultimo decennio della sua vita, dalla Fanciulla del West, al Trittico, con quest’ultimo, insieme a Turandot, quale esito della I guerra mondiale, idea della morte imperante, e che colpisce tutti, indistintamente. Interessante anche che Puccini si affidi alla favola, di per sé iniziatica. Infatti, Turandot è una fiaba persiana che appartiene all’antologia delle Mille e un Giorno che si contrappone chiaramente a Le Mille e una Notte. Difatti, mentre questa narra di un Principe che all’alba manda a morte una donna, Turandot al tramonto condanna alla pena capitale un uomo. In buona sostanza, l’origine di entrambe le raccolte affonda le sue radici in arcaici miti cosmogonici che riguardano il Sole e la Luna nel loro continuo alternarsi ciclico di vita, morte, rinascita. Posso dire è la ricerca del divino che in questi anni mi ha sempre attratto in Turandot, quel riconoscere che, con sempre maggior consapevolezza, Giacomo Puccini tentava di stabilire un ponte tra la bellezza musicale e quella suprema, e concludere che in gran parte ci sia effettivamente riuscito”. Alla grande apertura pucciniana verso le nuove strade dobbiamo aggiungere una parte corale di singolare ampiezza, duttilità e varietà. Il coro, guidato da Dawid Jarząb e Rafał Wiecha, unitamente a quello delle voci bianche preparato da Maciej Salski e Agnieszka Lechocińska, rispecchia la facilità con la quale le masse popolari possono mutare atteggiamento ed essere suggestionate. Tuttavia, proprio da questa plebaglia assatanata scaturisce una delle più attraenti pagine dell’opera, il sommesso “Perché tarda la luna”. Quanto a Turandot, affidata alla voce di Diana Axentii, è protagonista più per la trama che per lo spazio che occupa nello svolgimento dell’opera. Assente nel I atto domina, tuttavia gli altri due: la sua grande aria “In questa reggia” è più impressionante per la caratterizzazione drammatica che per l’invenzione melodica. Fondamentale è, nella Turandot, la contrapposizione della schiava Liù, che avrà la voce di Patrycja Krzeszowska, alla gelida principessa. In termini vocali Turandot è un soprano “drammatico”, Liù un soprano “lirico”, ma il vero divario non è questo. Liù è una delle figure femminili predilette da Puccini, l’ultima autentica eroina del teatro musicale italiano. E’ sua “Tu che di gel sei cinta” un tipico lamento pucciniano, reso ancor più squisito dal colore esotico. Calaf, i cui panni vestirà Dominik Sutowicz, è, con Rodolfo, Des Grieux e Cavaradossi, il più importante tenore di Puccini. Calaf ha qualche tratto del tenore “drammatico” ma in sostanza è un tenore “lirico”: deve poter affrontare, con una voce ben timbrata ed estesa, qualche momento a suo modo epicheggiante, ma anche conferire tenerezza a un’aria come “Non piangere Liù” e spiegare il famigerato “Vincerò” di “Nessun dorma”. La funzione dei tre ministri o tre “maschere” Ping (Arkadiusz Anyszka), Pong (Łukasz Gaj) e Pang (Aleksander Zuchowicz), è fondamentalmente quella di rammentarci che, malgrado tutto, la Turandot è solo una meravigliosa fiaba. Completeranno il cast Robert Ulatowski (Timur), Andrzej Kostrzewski (Mandarino), Krzysztof Marciniak l’imperatore e il principe di Persia Wojciech Strzelecki.

 

Il Maestro Jacopo Sipari

 

 

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Olga Chieffi

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