All in del tenore napoletano nella Adriana Lecouvreur, stasera alle ore 20, al Théâtre du Capitole di Toulose che avrà al suo fianco Lianna Haroutounian, Nicola Alaimo, Judit Kutasi e Roberto Scandiuzzi, per la direzione musicale di Giampaolo Bisanti e la regia di Ivan Stefanutti
Nel paesaggio dell’affermazione dell’opera detta verista Francesco Cilea ha incarnato una corda in parte estranea, per la sobrietà di una scrittura poco tendente al comizio e alle passioni della cronaca nera. Una vena compositiva, la sua, tenue ed elegante, discostantesi dalla tonalità bruta e aggressiva dei suoi compagni di manifesto e vivissima in Adriana Lecouvreur che debutta stasera alle ore 20, al Théâtre du Capitole de Toulouse. Una Adriana firmato dal regista e scenografo Ivan Stefanutti e diretto dal maestro Giampaolo Bisanti, è una sontuosa rilettura del capolavoro del verismo italiano. Il cast riunisce alcune tra le più importanti voci della scena internazionale: il soprano Lianna Haroutounian, il mezzosoprano Judit Kutasi, il baritono Nicola Alaimo e il basso Roberto Scandiuzzi. Una “distribution cinq étoiles”, come l’ha definita il Théâtre du Capitole, alla quale si aggiunge questa sera, in un jump-in dell’ultimo minuto, Vincenzo Costanzo: una presenza di prestigio che arricchisce un cast straordinario. Tanta scuola italiana in questa Adriana, con il tenore napoletano nel ruolo di Maurizio di Sassonia che sostituirà in emergenza il collega José Cura, impossibilitato a esibirsi per motivi di salute. Una notizia dell’ultim’ora che aggiunge ulteriore tensione a una serata già ricca di aspettative per una nuova, attesissima produzione. Una sfida importante e un riconoscimento per uno dei tenori più apprezzati della sua generazione, che ha già conquistato pubblico e critica nei ruoli pucciniani e veristi, con la sua voce solare, timbratissima, omogenea, salda e con degli acuti sicuri e l’ombra ramata nei medi che avvolge e conquista, oltre la recitazione che è una delle sue caratteristiche più apprezzate.1902: Adriana Lecouvreur fa il pari con Pellèas et Melisande di Claude Debussy, che si apprestava a mutar pelle all’opera in musica. Come già nel 1904 si scriveva in recensione, e come ha sottolineato Daniel Oren, essa è concepita con criterio di musicista, non di operista, in altri termini, la declamazione si muove arbitraria su scene che poco dicono. La musica fila snella e leggera, ma il legame logico fra sentimenti particolari espressi nelle parole e sfondo emozionale offerto dalla musica è, spesso, solo un desiderio. Era giusto questo il dramma segreto dell’intera esperienza verista. Giampaolo Bisanti come l’intera orchestra e su tutti Vincenzo Costanzo, si affideranno alla bellezza della pagina stasera: un’orchestra leggera, accorta, ma pur sempre fondata sulla glorificazione dell’inciso cantabile, il consueto Wagner da filodrammatica, ma mediato attraverso la réduction massenetiana, (si pensi al fluttuare di quartine di semicrome sul pedale di Sib che, al levar del sipario dell’atto IV, avanti il monologo di Michonnet, vorrebbe riproporci, sublimato in cafè-chantant, niente meno che il tema dell’ondeggiamento del Reno del Rheingold), e soprattutto l’irriducibile edonismo canoro, retrocesso talvolta sin ai vagheggiamenti della scrittura “ornata”. La misura delle più note melodie di Adriana, da “La dolcissima effigie” a “Io son l’umile ancella” sino a “Poveri fiori”, è quella delle quattro battute più quattro, ma provarsi a collegarne l’incisività con lo struggimento della memoria, ecco un bel problema, perché qui il divorzio tra parola e immagine musicale accampa diritti affatto identici a quelli codificati in una Fedora o in un Fritz. Ed allora ecco che il canto andrà a alla ricerca della sfumatura, del tono, del “soffio”, poiché non si tratterà di dar privilegio mnestico all’intera, organica curva melodica, ma all’inciso, all’interezione, all’attacco addirittura della romanza cosiddetta, e acconciarvisi all’interno in modo definitivo, poiché questo è l’unico modo di ricostituire le emozioni di un patrimonio dovizioso. Basilare in quest’opera è il concetto di metateatro su cui si basa il primo atto e, in particolare, il terzo dove il Principe invita nel suo palazzo diversi ospiti per farli assistere alla rappresentazione del balletto Il giudizio di Paride, in cui otto ballerini danzeranno sulle coreografie di un altro italiano, Michele Cosentino