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Vico Jazz Festival: Arturo Sandoval, una tromba oltre ogni limite

  • Luglio 25, 2009
  • Olga Chieffi
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La massima espressione della tromba moderna ha  inaugurato la rassegna di Vico Equense firmata dal trombettista salernitano Giovanni Amato.

Rubiamo il titolo all’aria finale della Sonnambula di Vincenzo Bellini, “Ah, non giunge uman pensiero!” per schizzare la performance offerta da Arturo Sandoval, il qual ha inaugurato, con il suo sestetto, la nona edizione del “Vico Jazz Festival”, una manifestazione organizzata perfettamente dal Comune di Vico Equense, realizzata con il co-finanziamento dell’Unione Europea, firmata dal trombettista “collega” salernitano Giovanni Amato. Se abbiamo evocato la vocalita’ di Amina, celebre ruolo per soprano di coloratura, non e’ certo per un indovinato gioco di parole: il leggendario trombettista, dalla voce perfetta per limpidezza, agilità, estensione che gli permette di volteggiare sui sovracuti del suo strumento, ma superando di ben due ottave il registro normale della tromba, con la sicurezza d’una pattinatore d’alta classe, è venuto qui in Italia a mostrare.

Sul palco si e’ presentato con Alexis Arce alla batteria, Hilbert Armenteros alle percussioni, Dennis Marks al basso, Manuel Valera al pianoforte ed Ed Calle al sax, per spaziare dalla ballad classica, al be-bop di Dizzy Gillespie, del quale si ritiene l’erede, sino al funky e al latin-jazz, suo genere d’elezione, dimostrando di essere un finissimo polistrumentista e interprete di un virtuosistico scat-vocalese. Ma se di “acutisti” il jazz vanta una tradizione quasi centenaria, a cominciare da “Cat” Anderson, della celebrata scuderia Ellington, Sandoval ha zittito il numeroso pubblico, che si può dire abbia riunito all’ombra del Vesuvio, il mondo leggero e classico della tromba e un pò di tutti gli ottoni, quando, con una magia delle labbra e’ sceso ben oltre la nota piu’ bassa della tromba, il Mi naturale, in chiave di basso e della sua fondamentale, il Si bemolle, trasformando, la tromba in Si bemolle, quasi in una tuba.

Ha impugnato, poi, il flicorno per accompagnarsi in una intensa interpretazione vocale di Estate, prima di sedersi al piano ed accennare “Smoke in your eyes”. Ballades, queste in netto contrasto con la rivisitazione di quel particolare periodo che va da Parker ad Hancock, in cui il sestetto ha lavorato su forme dichiaratamente boppistiche, in continua evoluzione, con un linguaggio creativo, il cui fascino e’ in quello sbilanciamento in avanti con una “forward intention” di accenti e fraseggi, frutto di una miscela originale di melodie accattivanti e liriche, arrangiate in modo non prevedibile.

Una sorta di “work in progress”, in cui il jazz e’ diventata una forma di vita attiva, dal cuore ostentatamente pulsante, i cui tratti essenziali sono stati espressi, comunque, in maniera limpida, inequivocabile e senza alcuna esitazione, con un linguaggio che, da una parte, ha sviluppato ai massimi livelli le ragioni estetiche del bop, quali quella delle divisioni ritmiche articolatissime, unitamente ad archi melodici resi spigolosi da strutture armoniche complesse, il tutto, naturalmente, eseguito, come da tradizione ad una velocita’ ben al di sopra delle righe, sviluppando fiorite composizioni estemporanee, attraverso valori metronomici piuttosto alti e ben calibrati, dall’altra, chiudendo i vari brani con una specie di ritorno alle linee semplici e pure.

Se Sandoval potrebbe aver scoperto il fianco, per la sua continua e sottolineata ricerca dell’effetto, della meraviglia, trasformandosi in diavolo e semidio evocante gli adorati virtuosi dell’epoca romantica, per chiudere il concerto ha liberato, invece, tutto il suo sentire guajiro, insieme alle trascinanti congas di Hilbert Armenteros, che ha naturalmente scatenato il demone della danza nell’intero pubblico del Vico Festival, concludendo, cosi’, la serata inaugurale della kermesse.

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Olga Chieffi

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