Il poeta Massimo Perrino ha presentato in una serata evento tra musica e profumi il suo ultimo lavoro Soli, in libreria per le edizioni Graus
di OLGA CHIEFFI
“Chi t’insegnò la strada dei poeti? La fonte e il ruscello della canzone antica” Così scrive Federico Garcia Lorca, così ha inteso far fluire la serata di presentazione della sua seconda opera, il poeta Massimo Perrino. Il curriculum di Massimo recita altro, ma tra le antiche pietre di Santa Apollonia in Salerno dove ha inteso presentare “Soli”, in libreria per le edizioni Graus è il poeta, che col suo verso ha ridonato lo storico spazio alle arti. Una serata da tregenda, per dirla con Rigoletto e da vampiri, col musical Dracula a pochi passi, ma al poeta non è certo mancato l’ammirato plauso di un pubblico che ha partecipato consapevolmente ad una serata sinestetica, in cui l’ars combinatoria ha permesso di avvicinare molteplicità inaudite, gli effetti, le multiple fluttuazioni, tra i cinque sensi, i tempi irrappresentabili dei mondi, delle cose, della vita.
Attraverso il verso di Perrino, la musica posteggia Napoletana di Claudio e Diana, con Massimiliano Essolito al mandolino, l’artista olfattivo Giovanni Festa patron della neo-nata “Aulentissima” il quale ha creato un’essenza particolare, orientale, le Jardin de Marrakesh, tra note di frutta, gelsomino e tuberosa, rosa e sandalo, lasciando pensare a quella molteplicità che comporta l’abbandono di ogni dualismo una forma estrema di empatia con ciò che ci circonda, quella “necessità interiore” di vivere ogni esperienza, e ancora il verso recitato, che si fa suono, di Simona Fredella e Tonia Filomena, il tutto concertato da Erminia Pellecchia, ospite di Chiara Natella. Questa silloge poetica non è certo un labirinto, ma un effluvio che emana da un’autentica anima poetica, che lascia intuire l’eguale felice espressione in cui si trova il filo rosso dello stesso fiore nascosto attraverso il suo canto contenuto nei ritmi della libera metrica contemporanea capace di espandersi con la potenza che racchiude e possiede, nella pienezza classica. La poesia non si rinnova con la ricerca di nuove forme, spesso imperfette, ma con la trasfusione di uno spirito proprio. Nessun timore in massimo nel varcare i confini del contemporaneo, attraverso i temi trattati, l’autore scrive per sé, in un momento di ricerca di sé, volto a dissipare le ombre della lunga quarantena trasformando una pausa dal mondo che è sembrata surreale in un momento di grazia. Il mondo per un attimo si è fermato, il verso è stato liberato sui fogli, l’anima senza filtri ha potuto godere di forme espressive non condizionate dal giudizio altrui.
Massimo ha trovato il modo di scivolare con la sua raffinata eleganza, in un fluxus di idee in continua evoluzione nel loro sviluppo, suggerendo e completando le proprie architetture, ricche di luci, di segni, in una iridescente e caleidoscopica creatività, formante un mosaico, affermazione di spontaneità, semplicità, in tempi in cui il linguaggio diventa sempre più complesso e lo sviluppo di una diversa articolazione, l’affrontare strade nuove, deve anche poter significare non dover, ad ogni costo, cancellare i legami con un luminoso passato. Un poeta è chiamato a ripercorrere le proprie esperienze. Poesia è conoscenza intima, un teatro dell’intimità con tante sue quinte mobili veloci e silenziose. Segrete figure e segreti che spesso abitano in fondo a noi, immagini abbreviate di vite vive ma anche di astri spenti, piccoli viventi e piccoli morti, che resistono in noi tenacemente o per sempre, spesso parole singole, lampi inspiegabili, unici, ma indelebili. E’ questo il goal di Diego Armando, è l’istante. Quell’istante che vale non per quello che seguirà o si prevede che segua, ma di per sé. “Pare che “istante” significhi qualche cosa di simile: ciò da cui qualche cosa muove…” (Platone: Parmenide 156d). Solo su questo assunto la discesa a rete di Maradona, fuori del tempo seppur velocissima, può trasformarsi in tema musicale, in un dolente ed ossessivo tango.
Fermo immagine: è l’istante dello sport, come quello dell’arte, della poesia, l’atto, la vita stessa nella sua pienezza, o, con linguaggio nietzschiano, il dionisiaco. Il punto di riferimento filosofico è pur sempre Bergson e la sua contrapposizione tra tempo-vissuto, tempo interiore e tempo-spazio, seguendo le cui tracce, sia tra le linee del rettangolo di gioco, o su di un palcoscenico, ascoltando il “Respiro dell’attore”, il suo ritmo, o su di un pentagramma o ancora su di un quadro, si gioca la partita della vita. Ci sono linee d’ombra, davanti alla quale si è attratti dall’incanto dell’esperienza universale da cui ci si attende di trovare una sensazione singolare o personale, un po’ di se stessi. Con le due attrici i musicisti: i titoli celeberrimi, da “Indifferentemente” a “Pigliate na’ pasticca”, sino alla più bella di tutte “Era de maggio”, con il trio interprete d’atmosfere e di emozioni, che ha saputo donare un prezioso talismano per farci procedere, attraverso piccole ebbrezze, profumate d’oriente, riproponendo insieme al verso di Massimo, non solo un mondo percettibile, bensì l’immagine profonda delle cose.