L’artista napoletano ha fatto esplodere, come sempre, il teatro Verdi di Salerno, ove ha presentato le canzoni dell’ultimo lavoro “Tutti i sogni ancora in volo” con una superband di undici elementi, intercalate dai successi che fanno parte del nostro sentire
di OLGA CHIEFFI
“I sogni son desideri” cantava la Cenerentola della Disney, e forse perfino Freud sarebbe stato d’accordo. Don Chisciotte canta, sogna, sospira la sua Dulcinea, ma non è essenziale, importante, invece, è il suo sogno d’amore. Se la Tempesta shakespeariana termina con “Siamo fatti anche noi della materia di cui son fatti i sogni; e nello spazio e nel tempo d’un sogno è racchiusa la nostra breve vita”, Massimo Ranieri, ospite del Teatro Verdi, ha rivelato che all’età di settantratrè anni i suoi sogni e progetti futuri potrebbero essere raccolti, forse, in un armadio a battente, ma a sei ante. E’ tornato a Salerno, Massimo Ranieri a cantare l’amore, come è stato abituato dalle circa 2500 canzoni che ha in repertorio simbolo della sua grande fatica d’amore. L’amore è come riprendere la bicicletta dopo tempo, basta la prima pedalata e si ri-comincia. Il teatro, del resto, è il luogo-non luogo dove praticare l’impossibile. Qui, viene conservato intatto il nucleo vivo e insopprimibile del messaggio offerto attraverso le parole e i gesti, il canto, la musica, la danza, così da instillare, oltre ogni sospensione e rottura, la volontà e la capacità di modificare le proprie convinzioni e convenzioni, le idee e le percezioni, reinstaurando la fedeltà al sogno e alla sua tangibile praticabilità. Questa l’essenza del messaggio che Massimo Ranieri ha inteso inviare, raccontandosi ad una platea entusiasta, attraverso le canzoni dell’ultimo progetto “Tutti i sogni ancora in volo – non smettere mai di sognare”, sostenuto da una super-band di undici elementi che schiera al pianoforte Seby Burgio, alle tastiere e voce Giovanna Perna, al basso Marco Siniscalco, alla batteria Luca Trolli alle percussioni Arnaldo Vacca, alle chitarre Andrea Pistilli e Tony Puja, al violino e voce Valentina Pinto e ancora la corista Letizia Liberati, mentre al sax alto, soprano e flauto c’è Stefano De Santis e Max Filosi all’alto e al tenore. La serata è iniziata con “Canzone con le ruote”, di Carlo e Niccolò Verrienti, un brano leggero dal testo divertente che ironizza con un pizzico di follia sulle classificazioni dei generi musicali. Se questa canzone avesse le ruote la sua direzione sarebbe senz’altro l’estate, col suo beat travolgente dal sapore latino con un ritornello che si lascia canticchiare dal primo ascolto, che strizza l’occhio a Jovanotti, e ancora, “Questo io sono” vera poesia in musica, in cui viene snocciolata l’esperienza della vita umana, partendo dai pensieri che attanagliano tutti durante la notte e che non permettono di prender sonno. Il buio riporta alla luce il rapporto con una madre, il rivedersi in un padre, esserlo a sua volta e vivere il miracolo della procreazione. Accettare la vita che ci da’ le sue risposte “nel mistero e nell’incertezza”, per arrivare alla fine a dire “Questo io sono”.
La musica fusion accompagna E’ davvero così strano? Di Giuliano Sangiorgi attraverso le sensazioni di un uomo che, intrappolato in una vita convenzionale, sente la necessità di smetterla di sorridere quando in realtà è in preda al tormento, di piangere di gioia e poi nascondere le lacrime di tristezza, di esprimere le emozioni nel momento in cui le sta vivendo, senza rimandare. E ancora “Tutto quello che ho” di Gianni Togni, il ritratto di un artista con una lunga carriera di successo, che ha dato tutto se stesso per la sua idea e per l’arte, ma che inevitabilmente ha dovuto abbandonare amori e attimi di grande felicità lungo la strada. Il tempo è l’unico tiranno invincibile che non ci ridà mai quello che abbiamo lasciato volare via dalle nostre mani; tutto quello che ci resta sono solo ricordi malinconici di ciò che poteva essere e che non sarà più; “Asini” di Carlo e Niccolò Verrienti, una canzone di rottura che descrive con uno sguardo ironico e al tempo stesso critico la nuova società e ci invita ad aprire gli occhi sul futuro. Un ritmo in levare tutto groove e fiati che si ferma nel ritornello per dare spazio ad un cantato disteso e sognante; “Lasciami dove ti pare”, in cui Massimo, mentre si racconta musicalmente su un beat dal sapore scanzonato e reggae ricco di fiati e chitarre in levare, dà prova della sua grande energia vocale e duttilità da gigante nel misurarsi con una melodia fresca e serrata, quindi, “Dopo il deserto” di Ivano Fossati per confessare la fine di questa storia d’amore alla quale il protagonista non si rassegna, perché per due che si sono amati, non ci vogliono grandi cose per ritrovarsi, bastano “le parole che vanno dette”, quindi, “Lettera di là dal mare” di Fabio Ilacqua un brano potente, emozionante, interpretato magistralmente da Massimo Ranieri, che tratta il tema dell’emigrazione in modo molto nobile e umano e soprattutto molto vero. È la storia di un emigrante italiano che ha affrontato un viaggio terribile, faticosissimo per inseguire il sogno americano…. che poi tanto sogno non è stato. È evidente come la storia di un emigrante del passato sia perfettamente sovrapponibile alle storie di emigrazione del presente. Nel mezzo i grandi successi di Ranieri, da “Se bruciasse la città”, a “La vestaglia”, l’omaggio a Renato Carosone con “Pigliate na’ pastiglia”, “Rose rosse”, “Resta cu’mme”, “Anema e core”, le tappe di un viaggio nella malìa napoletana, in cui Massimo Ranieri ha rivelato la sua innata capacità di trasporre con creatività il tessuto armonico e melodico della canzone italiana d’autore, un progetto musicale colto e raffinato, che ben riflette il mondo poetico della nostra tradizione canora, e dove il solista si è rivelato artigiano di toni e timbri, armonie e “disarmonie”. In quel saper coniugare la propria eccelsa statura culturale con una capacità davvero rara di regalare profonde emozioni, la voglia di mettersi in gioco attraverso un processo di creazione straniante ed anticonvenzionale, che gioca in qualche caso a creare riusciti contrasti tra le atmosfere gioiose dei suoni e la sofferta drammaticità dei testi originali, sono stati gli ingredienti del concerto salernitano. Un arrangiamento funky, con i sax a “comandare” ha vestito “Tu vuò fa l’americano” con il quale Ranieri ha presentato la splendida band, prima di rivelare i sogni per il nuovo anno, tra gli altri, lo stesso di “Totò il buono”, ovvero di tornare a viver in un paese ove buongiorno possa significare davvero buongiorno. Standing ovation del pubblico del massimo cittadino per Ranieri e due gli attesissimi bis Erba di casa mia e Vent’anni. Si replica ancora oggi, in pomeridiana.