Questa sera alle ore 21, sul palcoscenico del teatro Verdi, Gabriele Lavia porterà in scena “Il berretto a sonagli”. Accanto a lui, Ciampa, schiacciato da quel copricapo della vergogna intriso del suo onore macchiato, ostentato davanti a tutti, la Beatrice di Federica Di Martino. Domani alle 18,30, l’incontro con la compagnia
di OLGA CHIEFFI
Luigi Pirandello scrisse “Il berretto a sonagli” per un grandissimo attore siciliano, Angelo Musco, che ottenne un trionfo assoluto come interprete del lavoro, tanto che quando lo spettacolo andò in scena a Torino, al teatro Carignano, venne recensito da Antonio Gramsci che parlò in modo entusiastico di Angelo Musco e malissimo di Pirandello, poiché forse non aveva compreso la grandezza di Pirandello, la grandezza de ‘Il berretto a sonagli, A birritta cu’i ciancianeddi del buffone. Il modo in cui Pirandello trova l’unica possibilità di poter dire la verità in faccia a tutti: cacciarsi in testa il berretto a sonagli della pazzia e scendere in piazza a gridare in faccia a tutti la verità, che è la scelta che opera Pirandello con la sua scrittura. Questo classico ritorna stasera sul palcoscenico del teatro Verdi, alle ore 21, con repliche sino a domenica nella lettura di Gabriele Lavia, che è anche regista dello spettacolo. In scena con lui che darà voce al personaggio di Ciampa, troveremo Federica Di Martino, la quale vestirà i panni della signora Beatrice Fiorica; Francesco Bonomo che sarà Fifì La Bella; Matilde Piana la misteriosa Saracena, Maribella Piana interpreterà la vecchia serva Fana; Mario Pietramala sarà il delegato Spanò; Giovanna Guida si calerà nel personaggio di Assunta La Bella e Beatrice Ceccherini Nina Ciampa.
Ciampa è uno scrivano con inoppugnabili qualità intellettuali, quindi umoristicamente quasi uno scrivente -scrittore. Egli dimostra alla sua antagonista, la signora Beatrice, che ha scoperto e denunciato la tresca tra il proprio marito e sua moglie, la necessità di scegliere tra la sua vendetta cruenta, di uomo offeso che vendica l’onore uccidendo il rivale, e la pazzia della donna, che dovrà con tale mezzo negare quello che ormai tutti sanno, il tradimento. Ne segue un’idea della pazzia che sarà poi variamente esibita in altri drammi: che la pazzia coglie nel vero, dice le verità sgradevoli, senza che queste verità abbiano seguito nella società. E’ l’unico mezzo per analizzare la società senza pagare lo scotto; se non quello del berretto a sonagli, col quale la società esorcizza il male che produce. La pazzia è, ancora una volta, il discorso finale con cui si esprime l’umorismo, essendo il linguaggio di chi dice la verità totale provocando il totale rifiuto della società. Come il Chiarchiaro della Patente, che vuole dalla società l’etichetta del nome e della funzione che gli ha affibbiato e come – in una chiave non più farsesca, ma seria e persino patetica – il Baldovino de’ “Il Piacere dell’onestà”, che pretende di formalizzare la sua apparente funzione di onorato marito e di padre, fin alla collisione con quella stessa famiglia e società che voleva usarlo per salvare l’onore di un’impossibile relazione. La costante, dunque, che rende umoristico il personaggio è l’irrigidimento del codice sociale fino alla sua inversione funzionale; infatti, spingere fino in fondo i termini della moralità codificata, provoca la disfunzione del codice e l’emersione del suo valore strumentale. Con questa carica provocatoria, ma anche entro il limite di una sostanziale conferma e non superamento del codice, si comporta il personaggio nei drammi di ambiente borghese. Gabriele Lavia renderà omaggio sia alla versione in lingua siciliana, sia a quella in italiano, mescolando abilmente e – si potrebbe dire oggi – “camillerianamente”, lingua e dialetto nella messinscena
“Il Teatro non è archeologia. Il non rimettere le mani nelle opere antiche, per aggiornarle e renderle adatte a nuovo spettacolo, significa incuria, non già scrupolo degno di rispetto. Il Teatro vuole questi rimaneggiamenti, e se n’è giovato incessantemente, in tutte le epoche ch’era più vivo. Il testo resta integro per chi se lo vorrà rileggere in casa, per sua cultura; chi vorrà divertircisi, andrà a teatro, dove gli sarà ripresentato mondo di tutte le parti vizze, rinnovato nelle espressioni non più correnti, riadattato ai gusti dell’oggi. E perché questo è legittimo? Perché l’opera d’arte, in teatro, non è più il lavoro di uno scrittore, che si può sempre del resto in altro modo salvaguardare, ma un atto di vita da creare, momento per momento, sulla scena, col concorso del pubblico, che deve bearsene”. (Luigi Pirandello). Domani sera, alle ore 18,30, si svolgerà l’abituale incontro “Giù la maschera!” in cui il pubblico incontra la compagnia, in un tempo animato da Peppe Iannicelli.