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Libiam ne’ calici biologici

  • Gennaio 19, 2023
  • Alfonso Mauro
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Nella giornata evento della presentazione della Guida Bio, della consegna delle Foglie d’oro, nonché del gala alla Stazione Marittima, la parola al curatore del volume Antonio Stanzione.

di ALFONSO MAURO

Valorizzare le scelte green ed ecosostenibili del mondo enologico è una sfida e un percorso di responsabilità collettiva che s’incontrano nella giornata di oggi alla stazione marittima di Salerno, in un gala che verrà inaugurato alle ore 15, per concludersi alle ore 21. In mattinata presentazione della guida cartacea, con più di 500 produttori coinvolti e consegna delle foglie d’oro 2023, che avverrà alle ore 11 a Palazzo Sant’ Agostino. Abbiamo raggiunto Antonio Stanzione l’ideatore della festosa ‘enorragia’ che innaffia il nappo salernitano.

Direttore, perché Salerno e come nasce l’evento?
“Sono salernitano d’origine, benché romano d’adozione ventennale, e l’idea di convergere il riflettore nazionale sulla città natia ha trovato conferma nella degna location della stazione marittima. L’esperienza nasce perché il panorama delle guide vino è pressoché carente di monografie dedicate al biologico — neanche un database delle aziende biologiche è esistente. Circa 150 aziende aderirono alla prima edizione, e ora il numero è quasi quadruplicato.

E’ in quest’ottica di crescita con prospettiva che è importante appaiare alle aziende bio quelle ancora in conversione?
“Esiste un piano europeo che guarda al 2023 e che vedrebbe buona parte della superficie agricola UE in bio. E con un mercato in continua evoluzione, è giusto gratificare anche le aziende che si affacciano alla decisione verde”.

Quanto e perché conta, massime per le piccole cantine, relativamente tipiche nel bio, investire proprio vino negli eventi dedicati?
“La singola azienda può, ovviamente, anche decidere non sia di proprio interesse presentarsi, ma va altresì tenuto conto che a tutti gli altri saloni che contano l’iscrizione è pecuniaria; noi non abbiamo chiesto neanche un euro: ciò un valore lo deve avere, anche per le aziende che meno possono permettersi di essere rappresentate presso le realtà fieristiche”.

A cosa si impronta la decisione vitivinicola di partire in bio o di convertirsi in bio?
“Chi pianta una vigna in conduzione bio può magari scegliere un varietale piuttosto che un altro, può lavorare su esposizione ed elevazione geografica, magari si è vicini a un bosco… molteplici sono i fattori, e in una scelta a priori si smussano le difficoltà. Ma che si parta o si converta in bio, l’innegabile positività è che la decisione viene generalmente da persone che tengono alla salute propria e collettiva, all’ambiente — ed è a quello che dobbiamo guardare.

Quale è invece l’andamento della ricezione del pubblico al calice ecosostenibile?
“Studi effettuati negli ultimi anni ci riportano che il trend del consumo bio è crescente — pare che nel 2021 addirittura il 30% del mercato stimato sia stato mosso dal vino rispettoso dell’ambiente; la decisione d’acquisto ricadeva dunque in etichetta e in certificazione. Siamo sempre più al centro del progetto globale di riconversione verde e di responsabilizzazione collettiva”.

Quali le scelte del mercato straniero? È ancora vinto alle aree blasonate di nomi atavici e certificazioni orecchiabili o guarda al verde, al “piccolo territorio” e alla parva domus?
“I grandi nomi sono sì centripeti dell’interesse estero, ma posso citare l’esempio di viticoltori del Vulture che vendono il proprio vino quasi esclusivamente in Francia. Tutto è anche relativo al giusto modo di comunicare le cose, le realtà, le vicende — alla collaborazione tra gli attori del comparto e degli areali che spesso vanno invece in direzioni divergenti e meramente concorrenziali. Ciò detto a netto delle difficoltà e della “trafila” burocratica che la piccola realtà può vivere come un gravame”.

In ciò dovrebbero aiutarci i nostri legislatori comunitari, in ottica di accordi multilaterali che riconoscano alla certificazione bio uno status comune più allargato che non quello “solo” dell’UE; ad esempio, la certificazione statunitense è (burocraticamente) diversa e quindi non equiparabile in vendita — e viceversa.
“Certo, ma guardiamo intanto al lato positivo: è significativo che la nostra certificazione sia l’unica riconosciuta ad un livello sovranazionale. In un panorama labirintico di mini-certificazioni che mirano alla sostenibilità, nessuna ha riconoscimento capace di varcare confini nazionali. Ma la responsabilità, sì, è nostra di dover unificare a livello mondiale la certificazione bio. Siamo visti come il luogo della storia, della cultura e della viticoltura culturale e storica, ed è nostra la maggioranza del patrimonio genetico viticolo. E poi la terra… In un’azienda nelle Langhe mi fu raccontato di un gruppo di cinesi là in visita, tra i quali un tale portò via in un sacchetto un po’ di terriccio rimasto attaccato alle ruote di un trattore — sulle prime, il timore di un occhio scrutatore con la riproducibilità totale in agenda, ma poi il sollievo: guardandocisi attorno ci si assicura che ciò non è possibile, poiché, fortunatamente, il termine francese terroir non si traduce affatto meramente in “territorio” ma è fenomenologia espansa e di per sé poliedrica. Dal prestigio ai microclimi. …Pensiamo alla micro-parcellizzazione delle vigne in Costa d’Amalfi — ogni angolo con condizioni peculiari. Una roba impensabile per i grandi numeri, ed è questo che dobbiamo riuscire a comunicare”.

Quindi, fattore non trascurabile nel bio, il rapporto tra il prodotto in senso stretto e la sua rappresentazione?
“Assolutamente. Chi acquista vino deve poter sognare. Non dobbiamo dissuadere i cuori di chi vuole avvicinarsi con le pedanterie di un tecnicismo degustativo fine a se stesso. Una democratizzazione del bere bene e del vivere quindi bene”.

Le prospettive dell’evento? Dove andiamo?
“Auspichiamo un evento costante, stabile negli anni. Mi si tacciò di anacronismo quando parlai di una guida—un’altra—, quando intrapresi questo monografico viaggio nel bio non meramente catalogativo, ma di riconoscimento e supporto al comparto — un lavoro corale. Anche la scelta della terra natia è fatta di orgoglio e di futuro al contempo. Ci auguriamo che la città intera possa brindare con noi”

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Alfonso Mauro

Alfonso Mauro (1989) ha studiato Storia e Filosofia all'Università degli Studi di Napoli Federico II. Lavora come interprete e traduttore nel turismo, presso l'azienda vitivinicola Le Vigne di Raito; ed è condirettore artistico della rassegna culturale vietrese "La Congrega Letteraria". Le Belle Lettere, e la Musica classica e lirica sono la sua passione.

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