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La platea si diverte con le battute di “Perfetti sconosciuti”

  • Febbraio 28, 2023
  • Olga Chieffi
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Pubblico in un inconsapevole delirio per la piéce teatrale che lo stesso Paolo Genovese ha tratto dal suo film divenuto un vero e proprio cult.

di OLGA CHIEFFI

La borghesia si è sempre divertita quando le sono stati mostrati i suoi comportamenti più beceri. Così è stato al teatro Verdi di Salerno con “Perfetti sconosciuti”, piéce teatrale tratta dal celebrato film del 2016 di Paolo Genovese, senza alcun cambiamento, solo con qualche taglio importante, seppur necessario che l’ha nettamente impoverita. Mai pubblico della première del massimo cittadino, di solito, molto freddo e compassato, si è rivelato tanto caldo, plaudente e partecipativo. Teatro pieno, per questa pièce, di persone che si sono certamente ritrovate in questo “gioco” suicida, del quale, forse, non ha colto o non ha inteso cogliere il lato tragico, l’altra faccia della luna, esplodendo in riso e plausi ad ogni segnale di messaggio ad ogni “popolare” battuta. La mise en scene teatrale rispetta il copione con qualche piccola differenza. In primis, conosciamo le coppie direttamente nel salotto di Eva e Rocco, non come nella pellicola, nel preludio iniziale, casa per casa, in cui già dai piccoli gesti si vede che Carlotta è dedita all’alcool ed esce senza mutande, Lele chatta di nascosto, Cosimo e Bianca giovani sposini si “prendono” di continuo e decidono di mettere in cantiere un figlio, mentre Peppe, il professore è atteso con la sua nuova fidanzata Lucilla. La squadra attoriale è diversa, composta da Dino Abbrescia, Alice Bertini, Marco Bonini, Paolo Calabresi, Massimo De Lorenzo, Anna Ferzetti, Valeria Solarino, che riceve il testimone da campioni del calibro di Giuseppe Battiston, Anna Foglietta, Marco Giallini, Edoardo Leo, Valerio Mastandrea, Alba Rohrwacher, e la tensione, il flam, pur avendo un buon ritmo, non è pari. Resta di buono il tema, quello della scatoletta magica, il cellulare, il mondo nelle mani, che non si riesce più a vedere con distacco e a considerarlo come un mezzo, ma diventa qui, una volta “liberato” di ogni codice e privacy, la sentina delle note piccolezze dell’uomo medio italiano del suo mentire, dell’essere moralmente meschino e profondamente bugiardo, che si fa forte di una falsa integrità, “Conformista, colonialista, razzista, schiavista, qualunquista” (P.P.P La ricotta). Una cena delle beffe, in cui i temi sono i soliti, la scoperta dell’amico omosessuale, i segreti di famiglia, il volersi liberare dei vecchi, la “prima volta” della figlia di Eva e Rocco, i palchi di corna di Cosimo a Bianca, il tradimento virtuale di Carlotta, pari a quello di Lele, il triangolo Eva, Cosimo, Marika e tanto altro, il tutto illuminato e oscurato dalla luna in eclissi che perde luminosità e si scopre come è nel reale, scura, essendo un satellite. Durante questo adombrarsi della luna, i personaggi scoprono le loro bassezze morali, fino ad arrivare al finale, dove ormai le fratture fra i protagonisti non sono più sanabili, poichè la verità ha distrutto l’ipocrita normalità. Ma come Sliding Doors di Peter Wowitt, Paolo Genovese propone due facce della stessa realtà. La pièce ci mostra infatti cosa sarebbe successo se il gioco fosse stato fatto, ma la realtà del finale, che è anche quella caratteristica della narrazione col suo colpo di scena, è ben diversa. Il gioco è stato difatti sì proposto da Eva, ma nessuno dei partecipanti ha dato la propria adesione. Le bugie, i tradimenti e le slealtà compiute dai protagonisti sono reali, ma non sono mai state svelate. Ognuno deve, infatti, convivere con la propria coscienza, continuando a mentire e a vivere una doppia vita, rivelando l’impossibilità di smantellare le nostre finzioni e le nostre sovrastrutture, affermando, ancora una volta pirandellianamente, che l’autenticità è un’utopia.

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