Nello Mascia in scena al teatro delle Arti di Salerno in questo week-end con “A che servono questi quattrini”, plays fuori e sopra il palcoscenico con i suoi attori. Trionfo assoluto con cinque chiamate al proscenio.
di OLGA CHIEFFI
Cosa c’è di più attuale del valore dell’apparenza? Il denaro è un trucco, serve solo ad apparire ciò che non si è! Questi gli assunti su cui si basa la commedia “A che servono questi quattrini” scritta da Armando Curcio senior per il teatro Umoristico dei fratelli De Filippo, un successo travolgente, in teatro si rideva, mentre l’Italia aveva messo un deciso piede in guerra. Ad Armando, noto sotto molti aspetti, giornalista e pupazzettista, amante della fotografia, commediografo ed editore i quattrini servivano, sia perchè aveva famiglia, sia per rischiare nelle varie attività che svolgeva, unitamente al desiderio di mettere in scena Napoli, con le “voci”, con le sue miserie di tasca, le sue ricchezze di cuore, ed ecco in scena la commedia per Eduardo, col quale collaborerà anche per “La Fortuna con la “F” maiuscola”. Chiusi nel grigiore della povertà, gli attori si muovono intorno ad un muro, una struttura scarna, essenziale in un ambiente poveramente arredato e ingrigito dal tempo, la casa di Vincenzino, con prospettive protese verso l’alto e che opportunamente con panneggio diventa il salotto ostentamente ricco di Don Ferdinando De Rosa, interpretato da Fabrizio La Marca, unitamente al sarto Don Peppino.
Filosofeggia in tight, cilindro e perfetti stivaletti jodhpur da galoppatoio, abito di chiara elevata condizione, Eduardo Parascandolo, detto ‘O professore, Marchese di Guastamacchia, l’unico che avendo conosciuto il valore del danaro, non ha più nessun interesse nei suoi confronti, interpretato con grande consapevolezza attraverso quel fine gioco, che lo porta a “to play” fuori e sul palcoscenico, con questa sua rilettura del copione di Armando Curcio, alleggerito rispetto alla celeberrima versione eduardiana, che puntava per intero sullo spunto pirandelliano. Questa commedia è una macchina per attori dove regna assoluta la costruzione di microcosmi comici, del witz, per usare un termine musicale, del motto e, sul palcoscenico, abbiamo applaudito tutte eccellenze che rappresentano un lungo ponte che afferma ancora una volta il futuro del teatro partenopeo, a cominciare da Salvatore Caruso, caratterista e interprete di Zia Carmela e dello strozzino Palmieri e Valerio Santoro che schizza uno spassoso Vincenzino, un ormai morto di fame che è entusiasta di vivere questa storia confezionata ad arte dal Marchese Parascandolo.
Noi rappresentiamo tutti, poiché rientriamo nelle “categorie” sociali del marchese, ed è giusto qui l’universalità di questo copione che conta ben ottantatré anni, con Vincenzino Esposito, il discepolo più affezionato del Professor Parascandolo, un povero operaio che si licenzia per seguire la nuova filosofia di vita contro il parere della sorella con cui convive, poiché si è posto vergine, da “puro folle”, dinanzi ai dettami del marchese. Vincenzino è innamorato di Rachelina (Loredana Giordano), ma la benestante famiglia dei De Rosa, proprietaria di un famoso pastificio a Caivano, è naturalmente contraria al fidanzamento tra i due. Il Professore, che crede fortemente nell’essenza della sua filosofia e, in particolare nella profonda conoscenza delle varie “categorie” di persone che si trova dinanzi, è certo di possedere il segreto per convincere all’ unione, la facoltosa famiglia di Rachelina e organizza, così, una messinscena grazie alla quale fa credere a tutti che Vincenzino abbia ereditato una cospicua somma di denaro, con Fabrizio La Marca nel doppio ruolo dell’amico Marchetiello e del notaio Colascione, che annuncia questa fantomatica eredità dall’alto del muro. Tutto ciò, servirà non solo per ufficializzare il fidanzamento con Rachelina, ma per ribadire il concetto che non è fondamentale possedere grandi ricchezze per poter vivere. “Fatt’ nu’ nome e sgarrupa chiese” recita un antico adagio, ed ecco che lo stratagemma dimostra che basta far credere a tutti di essere ricchi per diventare degni di credito illimitato. Nello Mascia si pone al centro di un meccanismo corale molto preciso e colorato, le cui redini erano tra le dita del regista Andrea Renzi, una rappresentazione del teatro del mondo capace di risucchiare l’uditorio in uno spazio artistico che implica la partecipazione al gioco del teatro e della vita. Applausi calorosissimi e cinque chiamate al proscenio per l’intera compagnia che ha illuminato il week-end teatrale salernitano.