Due le serate fiume al Teatro Augusteo di Salerno per lanciare “ponti” di note tra le nuove generazioni e i maestri del così detto “extra colto”, che hanno salutato in palcoscenico la Grande Banda Avion Travel, il pianista Kenny Werner e l’ospite azero Muhammad Allahverdiev
Di Olga Chieffi
Teatro Augusteo sold out per la XV edizione del Salerno Jazz & Pop Festival, uno dei numerosi progetti del Conservatorio “G.Martucci”, firmato dal Direttore Fulvio Artiano, svoltosi in concomitanza con l’International Jazz Day, sicuramente un genere questo, ma vogliamo riaffermare con Duke Ellington che la musica è una, che meglio interpetra la contemporaneità e che il pianista Herbie Hancock ama definire musica di pace. “Il jazz ha uno spirito di apertura che chiama tutti noi a guardare oltre le nostre differenze, non solo a rompere le barriere, ma anche a promuovere la pace”. Nella migliore tradizione musicale cittadina, le due serate sono state aperte dagli studenti del dipartimento pop e jazz, agli ordini dei propri maestri e del coordinatore, il pianista Vincenzo Danise, un esponente del “Vesuview” Jazz, il quale ha presentato una sua composizione dedicata a Diana una bambina africana, nata letteralmente in mezzo al mare mentre la mamma attraversava il Mar Mediterraneo, per arrivare in Italia, cercando una vita migliore. Pianismo virtuoso, il suo, impreziosito da suoni concreti, musica che ci fa intravvedere il crogiuolo di esperienze assai diverse, sconfinanti nel popolare, evocanti nel finale in un ritmo di tarantella, simbolo della città che ha accolto la piccola. Prima serata pop con diversi gruppi che, unitamente ai saluti del Presidente Provenza, evocazioni e personalità, dal sindaco ai vari assessori e alla onnipresente, ormai salernitana d’adozione, Giovanna Cassese, Presidente del Consiglio Nazionale per l’Alta Formazione Artistica e Musicale, ha prolungato l’attesa per la performance degli Avion Travel, che ha portato Peppe Servillo ad esordire con un “Sarò breve”, seguito del fatidico “Prima di tutto la buona creanza”. Un concerto che ha salutato anche la Medit Orchestra che si è posta al servizio della piccola banda Avion Travel, composta da Peppe D’Argenzio, Peppe Servillo, Alessandro Gwis pianoforte e tastiere, Ferruccio Spinetti al contrabbasso e Mimì Ciaramella alla batteria, fissando in musica e versi tutto ciò che è la nostra vita, sorrisi e lacrime, beffe e drammi, quali veggenti, attraverso titoli celeberrimi quali Orlando Curioso, Scherzi d’affitto, con uno sguardo benevolo a una giovane coppia in sala, che si è ritrovata nei versi, Belle caviglie, Abbassando, sino a Sentimento, Dormi e Sogna e chiudere con una canzone di “giacca” Storia d’amore, poiché è del linguaggio dell’arte “dire” l’indicibile, l’oltre, naturalmente anche l’amore. Certamente un originale modo di stare sul palcoscenico, quello di Servillo, attraverso cui si ritorna all’epoca romantica e ancora più dietro a quella lingua che credevamo perduta, quel tempo in cui il linguaggio riuniva in sé musica e poesia, e anche le altre arti, teatrale, tersicorea, riappropriandosi delle proprie origini, riavvicinandosi ad una concezione della musica quale espressione totale. Questo lo scopo dei loro suoni che continuano ad attirare tutti verso ciò che sopravvive e persiste come risorsa culturale e storica, capace di resistere, turbare e scardinare la presunta unità del presente, sicuramente attraverso quel giusto mix tra passato presente e futuro. Arrangiamenti del Maestro Valori, in chiave moderna, con eleganti sottolineature ritmiche ed armoniche, per “portare” uno spettacolo che avvicini tutti, nel modo consono, alla radice di quell’incanto che è la loro canzone, in cui le suggestioni, le intonazioni, le evocazioni di un vernacolo che è una lingua, si trasformano in un canto ora dolente, ora euforico, capace di esprimere l’eterno incanto dei sensi. Riguardo i ragazzi, ha rotto il ghiaccio col pubblico la cantautrice Luce Scognamiglio con Jonathan Palomba alle percussioni, primi due pezzi non semplici per la formazione minima, con “Anema e core” di Serena Brancale e “Sulo pe’ parlà”, un Pino Daniele, forse inavvicinabile, ancora oggi, per tanti professionisti, prima di attaccare il convincente inedito Hinterland, in una giusta balance ritmico-melodica. Già padrona del palco è Luana Lucrezia Scognamiglio, voce avvolgente brunita, canto che guarda alla tradizione degli anni Ottanta-Novanta, leader di un gruppo composto da Gaetano Napolitano, batteria, Aldo Albano, tastiere e Salvatore Avino, chitarra, presentatasi con Billie bossa nova di Billie Eilish, eseguita eludendo l’idea di rivoluzione quale “aggeggio nuovo”, un aggeggio esteticamente violento in Brasile, perché così fortemente ricco in musicalità, creatività e sentimento filosofico di questa forma, per poi attaccare This is what you are di Mario Biondi e tentare di avvicinare l’universo browniano di “It’s a Man’s Man’s Man’s World”. Grandi gruppi, quindi per “ Rosanna” dei Toto e il Bacharach di “I say a Little Prayer” con voci già in carriera come quelle di Angelica Parisi o della Annalisa D’Agosto e Susanna Reppucci, che dal canto lirico hanno inteso ri-cimentarsi con il pop, insieme a Mariano Castiello, Claudia Vietri e Federica Sergio, tastiere, Gaetano Del Prete, basso elettrico, Sergio Esposito, percussioni, Matteo Esposito, batteria, Andrea Di Marino e Ciro Mascolo, chitarra elettrica e Maria Mazzeo ed Eloisa Perrino Vocalist, anche per l’omaggio a Lucio Battisti 7,40. La seconda serata quella dedicata al jazz, è stata inaugurata da un talentuoso pianista azero, individuato dallo stesso direttore Artiano, nel suo ultimo viaggio, Muhammad Allahverdiev, il quale si è interfacciato per l’esecuzione di classici quali “My favorite things”, “Cantaloupe Island” fino ad “Hardsan” di Said Rustamov con Ivan Forlenza ai sax tenore e soprano, Vincenzo Ciardi al basso e Vincenzo Cuomo alla batteria, un pianista l’azero, che promette essere elegante nel tocco , raffinato nella costruzione e al contempo sobrio ed eloquente, con il sax rivelatosi voce interessante dal fraseggio fluente sostenuto dal trio lucido e consequenziale. Gli allievi di Sandro Deidda hanno guardato ad un luminoso passato con Stardust e Yardbird Suite, con una Roberta Amanda che ha inteso indossare una gardenia bianca tra i capelli, simbolo di Lady Day, la quale ha fatto molto bene in Yardbird Suite stile Lady Time (Ella Fitzgerald), rivelandosi ancora un po’ acerba per il brano di Carmichael, con lei Pierfrancesco Valente al sassofono tenore, Salvatore D’Avino al piano, Jacopo Carlesi al basso e Mirko Di Donna alla batteria. Bel crooner sarà certamente Antonio Valentino, che già mostra ottima tecnica, imprinting Zamuner, insieme a Vittoria Lomonaco i quali si sono cimentati nel celebre Waltz for Debby di Bill Evans facendolo seguire da Minuano di Pat Metheny insieme ad Alfonso Marra al piano, Giada de Prisco alla chitarra, Andrea Brissa al contrabbasso, Riccardo Leone alla batteria e Nicolò Ferrera alle percussioni, posseggono quel comune denominatore, in termini di vitale romanticismo ed essenzialità di racconto. Finale prima parte, con Luigi Di Gennaro al pianoforte in quintetto con Angelo Gregorio alla batteria, Nicolò Ferrera alle percussioni, Andrea Brissa al contrabbasso e Pasquale Geremia al sassofono per Blues on the corner di McCoy Tyner, con buone linee disegnate dal sassofono, interpretazione di impatto immediato, di sensibilità e buona ispirazione. Applausi per tutti ed ecco Kenny Werner che ha diviso il palcoscenico con i docenti del conservatorio aprendo in piano solo la seconda parte della serata. Con lui, Dario Deidda al basso, Sandro Deidda al sax soprano e al flauto, Daniele Scannapieco al tenore, Giacinto Piracci alla chitarra e Pier Paolo Pozzi alla batteria. Se l’apice della performance è stato raggiunto in trio con un ispirato Dario al basso ed uno straordinario Pier Paolo Pozzi alla batteria, il quale ha espresso una svariata complessità ritmica, svelando, così, la potenza del suo drumming, in un rinnovato rapporto musicale ed uniformità d’intenti che non ha smesso mai di attirare l’attenzione su musica che è un sommesso scambio di idee, senza ripetitività né stanchezze, il brano inaugurale è risultata una synthesis della grande letteratura contemporanea, una meditazione su dove va la musica, con il gusto della citazione, un esame accurato che fa sospettare quali luoghi da cui essa prenda le mosse, manifestando la personalità potente e sfaccettata del pianista che conosce perfettamente spazio e tempo traendo note da ogni recesso dello strumento. Suoni speciali quelli di Daniele Scannapieco e Sandro Deidda per l’occasione al soprano, comunicativo strumentista e leader, nella sua luminosa capacità di condurre direttamente alla spina dorsale del jazz, avendolo attraversato per intero, dove aggettivi, definizioni e accostamenti perdono di significato. Un concerto dominato dal magistero di Werner che possiede la “capacità” della sua musica, ovvero l’enorme potenza e carisma di esprimere e sostenere il flusso ininterrotto dei suoni che l’abitano.