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  Jacopo Sipari e la ricerca della spiritualità in Nabucco

  • Aprile 3, 2025
  • Olga Chieffi
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Il direttore abruzzese sarà sabato 5 aprile, alle ore 19 sul podio dell’Opera di Varna, in Bulgaria, per l’opera verdiana, dopo l’annunciato successo della Tosca al teatro di Maribor. In scena Plamen Dimitrov nel ruolo del titolo con Johana Zhelezcheva  e Mihaela Berova, per la regia di Kuzman  Popov

 

Dopo una Tosca che ha chiuso aureamente il marzo musicale dell’Opera Nazionale Slovena di Maribor, il Maestro Jacopo Sipari di Pescasseroli, sarà sabato 5 aprile, alle ore 19 sul podio dell’ Opera di Varna, in Bulgaria, che festeggia la sua LXXVIII stagione, per dirigere Nabucco di Giuseppe Verdi. Se Puccini resta autore d’elezione del direttore d’orchestra abruzzese, infatti, è stato un successo annunciato – per di più con soprano diverse nelle due repliche, Sabina Cvilak e Rebeka Lokar, con al loro fianco, il degno Mario Cavaradossi di Max Jota, mentre il nero del barone Scarpia è stato schizzato da Jaki Jurgec, sull’idea registica di Pier Francesco Maestrini – nella personale visione musicale del Maestro la ricerca e la richiesta all’orchestra di un’espressività scovata nelle viscere dell’inferno e in un luminosissimo cielo, non frenando neppure una riga di pianto, nel “Vissi d’arte” e la consapevolezza che cede alla disperazione in “Lucean le stelle”, anche il giovane Verdi vivrà della tensione spirituale che intride la trasversale lettura della partitura da parte di Jacopo Sipari. “ Nabucco è un’opera che io amo profondamente – ha dichiarato il M° Jacopo Sipari – perché mi ricorda una delle prime produzioni affidatemi, nella splendida cornice del teatro antico di Pompei, con una voce d’eccezione che è quella di Dimitra Theodossiou. L’ho sempre trovata una delle opere più ricche di emozioni di Verdi e sono oltremodo entusiasta di riaprire questa partitura. Qui a Varna l’ho diretta già diverse volte sia nella stagione estiva nell’arena all’aperto, che in teatro sempre con grandi stelle, su invito del sovrintendente Daniela Dimova. E’ questa un’opera in cui mi ritrovo, un Verdi che amo perché ricco di pathos, in particolare nei concertati finali e ho sempre provato ammirazione per il ruolo di Abigaille, come del resto anche quello di Nabucco. Tra l’altro è una partitura che mi permette, in particolare nella conversione finale, di evidenziare la spiritualità, quel taglio che caratterizza la mia lettura della musica tutta, che vado a ricercare in ogni opera. In Nabucco è un discorso che viene quasi naturale, essendo un Verdi gravato da lutti, e si intuisce quel desiderio di cercare delle risposte, di guardare oltre la caducità dell’umano terreno”. Un cimbasso, due arpe, timpani, cassa tamburo, triangolo, banda, in aggiunta ai soliti archi e fiati, un organico notevole quello preteso da Nabucodonosor, dramma lirico in quattro parti di Temistocle Solera, che la Scala programmò per il Carnevale del 1842. Se c’è un’opera che sappia essere più forte e più povera dei Puritani, meno ricca di Aida e non meno forte di Don Carlos, questa è veramente l’elementare, a suo modo irripetibile Nabucco di Giuseppe Verdi, che a parte la gemma melodico-espressiva del coro celeberrimo, è partitura tutta bella, buona e compatta, articolata da un istinto e da una mano già incapaci di sbagliare. Una rilettura quella di Jacopo Sipari, che immaginiamo basata sul ritmo, sulla velocità, sull’odio, per elevarsi, poi, nelle oasi di preghiera, che diventa denuncia civile in un periodo in cui anche la musica contribuì a far rialzare la testa al nostro popolo, sotto il tallone austriaco. Il lessico del melodramma più conosciuto, tra quelli del giovane Verdi, avvalora senza dubbio l’asserzione che la sua musica sembra di una tal gagliarda forza illustrativa e comiziale da assumere una specie di ruolo di guida della coscienza civile dell’Italia da fondare, o, se si preferisce, di documento che testimonia di un’area sociale, culturale e linguistica, su cui tuttora ci si esercita come su un libro di storia patria. La violenza brutale dell’eloquio e la realizzazione in musica, non di caratteri individuali, ma, piuttosto, di formule, schemi, simboli di una tensione collettiva, su cui il regista e il direttore hanno puntato. La partitura verdiana porta tanti segni è sofferta. La sua cruda evidenza sarà fatta rivivere, in quel “guazzabuglio”, di emozioni e contrasti, che è il cuore umano, per evocare termini di manzoniana memoria. E’ una cruda evidenza riscontrabile fin dalla celeberrima sinfonia dell’opera, ove l’elementarietà del suono di fanfara colpisce come la lingua di un sanculotto introdottosi in un salotto bene, ma subito s’avvertirà, nel corso dello svolgersi dell’opera, un altro tratto di singolarità, l’assenza di un protagonismo tenorile. Si sa quanto il tenore del melodramma romantico nazionale, il belliniano e il donizettiano, si fosse identificato con l’ “eroe” o, comunque, avesse avuto funzione di strumento primario d’emozione: il povero Ismaele, al quale darà voce Valery Georgiev, è ben lungi da ciò, poiché Verdi ha chiaro già in mente come l’epica sarà, d’ora in avanti, compito della corda baritonale, la più virile, la più psicologica, Nabucco, quindi, che vivrà del talento di Plamen Dimitrov, Zaccaria sarà un vero basso, Geo Chobanov e il gran sacerdote di Belo, Petar Petrov. Abigaille, portatrice dell’istanza belcantistica, ma allo stesso tempo colei che quell’istanza ribalterà, in forza dell’inaudito spessore del declamato, sarà Johana Zhelezcheva, mentre Fenena avrà la voce di Mihaela Berova. Cast completato da Artem Arutyunov (Abdallo) e Galina Velikova (Anna). Connotazione mitica per il coro diretto da Teodora Georgieva, che eleverà il “Va’ pensiero”, non da escludere nel bis con l’intero uditorio.

Daniela Dimova e Jacopo Sipari di Pescasseroli

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Olga Chieffi

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