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Daniele Gatti, riconciliarsi con gli archi

  • Ottobre 13, 2022
  • Olga Chieffi
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Concerto sopra le righe, quello offerto dall’ Orchestra Mozart diretta dal maestro milanese, che ha scelto di eseguire  Metamorphosen di Richard Strauss e la terza sinfonia di Ludwig van Beethoven per il pubblico del Teatro Verdi di Salerno.

Una riflessione in musica si è rivelato il concerto dell’Orchestra Mozart, diretta da Daniele Gatti al teatro Verdi di Salerno. Una serata di quelle che rimarranno per sempre nella memoria di coloro i quali hanno avuto la fortuna di essere presente e che si contano sulle dita delle mani, in anni di frequentazione di sale e teatri, il concerto in cartellone giovedì, che ha visto la rara esecuzione di Metamorphosen di Richard Strauss, uno studio per 23 archi e la terza sinfonia di Ludwig Van Beethoven. Il primo brano, un’opera di altissimo magistero, in cui gli archi si inerpicano su vere e proprie vette di tensione espressiva, senza mai interrompere il fitto dialogo contrappuntistico, di cui Strauss era acclamato maestro, saluta tutte “prime parti” nella formazione, con Sergey Galaktionov, violino 1, Francesco Senese, violino 2, Manuel Kastl, violino 3, Giacomo Tesini  violino 4, Federica Vignoni, violino 5, Gabrielle Shek, violino 6, Clara Franziska Schötensack, violino 7, Astrid Leutwyler, violino 8, Anselmo Simini, violino 9, Emma Parmigiani, violino 10, Simone Briatore, viola 1, Luigi Mazzucato, viola 2, Francesca Piccioni, viola 3, Ada Meinich, viola 4, Margherita Fanton, viola 5, Gabriele Geminiani, violoncello 1, Walter Vestidello ,violoncello 2, Luca Bacelli, violoncello 3, Martin Leo Schmidt, violoncello 4, Andrea Landi, violoncello 5, Antonio Garcia Araque, contrabbasso 1, Daniele Carnio, contrabbasso 2, Giorgio Galvan, contrabbasso3. Ventitrè parti reali per una riflessione sulla contemporaneità, dove l’assurdità e lo strazio della guerra, appaiono trasfigurati da un linguaggio rarefatto e raffinatissimo. Qui, la più distaccata oggettivazione artistica, intesa quale risposta significante all’irrazionale violenza della realtà quotidiana è intrisa di credibili suggestioni. Daniele Gatti ha diretto con gesto limpido, erede della grande tradizione italiana, quale è, forse uno degli ultimi epigoni, con estrema aderenza alla partitura, ai suoi assunti, scrupolosamente risolti, con estrema concentrazione, grazie ad un “esercizio” di autocontrollo, mirato a conquistare una specie di verginità espressiva. Così, anche il suono si è attestato su zone di sospesa astrattezza, con timbri di quintessenziale bellezza, al limite della fisicità. Archi che hanno “respirato” insieme, quelli dell’orchestra Mozart, distendendosi e articolandosi, sino a dare l’illusione di perdersi, eludendo la tradizionale nozione di tempo musicale. Applausi scroscianti e un lungo intervallo prima di ascoltare la terza sinfonia di Ludwig Van Beethoven, op.55 in Mi bemolle maggiore, la cui marcia funebre è pur citata nelle Metamorphosen straussiane, per un problema ai timpani, che hanno dovuto essere sostituiti, con quelli in forza al teatro, anche se differenti. La forza drammatica del primo movimento è risultata ricca di ombre ma, allo stesso tempo Daniele Gatti ha inteso conferirgli ampio respiro nel fraseggio e nei disegni melodici, tentando, così di far emergere piccoli particolari della partitura, legati agli interventi dei legni, senza, tuttavia mai perdersi in un descrittivismo eccessivamente minuzioso, con allargamenti di tempo, particolarmente enfatici, o, al contrario, con soluzioni volutamente precipitose. Con il suo gesto, infatti, Daniele Gatti racconta storie che scaturiscono da uno studio puntuale delle partiture, unito ad approfondimenti letterari, perché dirigere un’orchestra non è solo cercare purezza e colore del suono. Eccellente la qualità tecnica di tutti gli strumentisti, in particolare dei legni che hanno avuto il loro punto culminante, nel secondo tempo, la Marcia Funebre: il fatale incedere dei ritmi, il colore ben scolpito dei timpani, i contrabbassi, sfondo polveroso della mesta melodia dell’oboe. Poi, lo Scherzo inserito perfettamente nella cornice classica con uno staccato ben evidenziato, e il finale una vera e propria carica di speranza e di gioia che ci costringe ad avere ancora grande fiducia nelle sorti del mondo e a non desistere mai dal pensiero di poterlo cambiare. Applausi e complimenti a scena aperta da una platea ammirata, che è stata spedita a casa senza bis.

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Olga Chieffi

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