L’eleganza del concerto, in forma privata, dell’orchestra filarmonica salernitana “Giuseppe Verdi”, quattro pagine a lui carissime eseguite da Antonio Senatore, Mauro Navarra, Vincenzo Scannapieco, Simone Mingo e Pasquale Occhinegro, nella lettura di Jacopo Sipari di Pescasseroli
di OLGA CHIEFFI
La musica come vocazione, studio, lavoro e incontro con la bellezza, ma anche potenza dell’espressione, tanto da sfociare in commozione è la synthesis del concerto celebrativo dell’anno dalla scomparsa del Maestro Domenico “Mimmo” Giordano. Il barocco nel barocco tra gli stucchi dorati e gli angeli musicanti, l’affermazione di una scuola, che ha e mantiene le sue caratteristiche da oltre un secolo, i solisti in rappresentanza di diverse generazioni di flautisti, con la ricerca di un suono e un’intenzione d’espressione comune, un carico di “pathicità” che ha investito e avvolto tutti, strumentisti, direttore e pubblico, in questo concerto in forma privata, dove si sono ritrovati, abbracciati allievi, oggi maestri, colleghi, familiari e anche persone che sono entrate per caso in chiesa. Suonare, dirigere, in un’atmosfera simile è veramente arduo. Ne ha pagato lo scotto il Maestro Giovanni Carlo Cuciniello, che ha inteso presentare il concerto, affidato all’Orchestra Filarmonica Salernitana “Giuseppe Verdi”, la formazione del teatro, di cui il Maestro Giordano è stato uno dei fondatori e vi ha suonato, con sul podio Jacopo Sipari di Pescasseroli. Si è andato ben oltre lo schizzo del maestro carismatico e severo, generoso e giocoso e, aggiungo, che ha sempre difeso i propri allievi, dentro e fuori del conservatorio e negli anni a seguire, ben conscio del loro valore.
Domenico Giordano flautista in tournée sempre attento alla famiglia o fortunato giocatore di tressette senza regole, sino agli aneddoti degli allievi e si sa che, se non si ha ricordo di un sorriso, di una battuta o di un diverbio, l’insegnamento è scivolato come acqua su pietra. Ha inaugurato il programma Vincenzo Scannapieco con il Concerto per piccolo recorder, eseguito con l’ottavino, di Antonio Vivaldi, in Do Maggiore Rv 443. Difficile resistere al fascino mediterraneo e solare, alle luci e alle ombre del prete rosso. Pubblico stregato dalla spiccata carica rappresentativa che ha contraddistinto l’esecuzione, con un Vincenzo Scannapieco strepitoso nell’affrontare i virtuosismi e la liricità del Largo, ispiratissimo, scevro di fioriture che abbiamo ritrovate, invece, nel gusto sapiente del maestro al cembalo Francesco Aliberti. Da ogni difficoltà il solista è emerso in maniera luminosa, con suono smaltato e vigoroso, il quale, letteralmente ha trascinato l’Orchestra Filarmonica in un abbacinate finale che ci è apparso un’impressionante sfida alle estreme possibilità tecniche. Studenti, poi colleghi, Antonio Senatore si è cimentato con il concerto di Carl Stamitz, in Sol Maggiore. Interpretazione attentissima alle sonorità, partita fin troppo rispettosa per poi assumere ben altro respiro. Il suono pastoso, senza sbavature, gusto rigoroso, sposato al piglio energico della bacchetta di Sipari, riuniti da leggerezza e virtuosismo lucidissimo simbolo di una classe estrema, nei tempi veloci, morbidezza e cantabilità espressive, nelle piacevolezze galanti, in una esecuzione alla ricerca di una precisa identità stilistica, commisurata alle prerogative della delicata cifra di Stamitz. Mauro Navarra ha scelto di omaggiare il suo maestro, con l’Andante K315 in Do Maggiore di Wolfgang Amadeus Mozart, eseguito con suono rotondo, fluido, senza perdersi in narcisistiche svenevolezze, come d’abitudine, ma contribuendo a sottolineare quel codice genetico dello stile mozartiano quale la rilevanza della componente cantabile e affettiva e il gusto per la gestualità teatrale, contenuta, comunque, nella cornice di un’intenzione rigorosa che è sembrata quasi ergersi ad argine degli sbocchi sentimentali.
Finale con il concerto per due flauti di Domenico Cimarosa con Simone Mingo e Pasquale Occhinegro solisti. E’ stata giusto questa esecuzione l’espressione della scuola del Maestro, due allievi che hanno studiato e si sono diplomati insieme, concorrenti, quanto basta, intenzione uguale, agogica e articolazione pari, ci verrebbe da scrivere stesso suono e vibrato, hanno incantato con pungente freschezza timbrica e acrobatico virtuosismo tecnico, confezionando un’esecuzione tecnicamente impeccabile, capace di soppesare suoni e silenzi. Vola un foglio a Simone Mingo che si redarguisce da solo al posto del Maestro “Simone ti avevo detto di incollare i fogli”. Applausi a tutti per aver creato un universo coloristico complesso e variegato, con brani, crediamo, mai eseguiti in città con orchestra come il concerto di Vivaldi o quello di Stamitz, l’augurio di porsi sulle tracce del Maestro Domenico Giordano, anche a chi non l’ha conosciuto come Jacopo Sipari, ma ne ha avvertito fisicamente l’essenza, come tutti noi e la promessa di ritrovarci ogni anno, con nuovi solisti, giovani e maestri, secondo il volere della famiglia, passeggiando su quel ponte di note tra passato e futuro.