Parterre de Rois per il direttore lucchese che ha guidato una ben rodata Nuova Orchestra Scarlatti all’ombra del tempio di Nettuno. Programma di repertorio illuminato dalla tromba di Davide Battista
di OLGA CHIEFFI
Affievolite le polemiche sull’esecuzione dell’Inno a Roma di Giacomo Puccini da parte di Beatrice Venezi, solo perché spazzate via da Veronesi camuffato da the Fox, El Zorro, protagonista sul podio di Bohème al Pucciniano, buffonate che la tradizione operistica, la musica e quel luogo non meritano, essendo questa speciale e caldissima stagione estiva nel suo pieno sviluppo, e il critico è come il somarello che, sotto la frusta trotta col suo taccuino da uno spettacolo all’altro, industriandosi di comporre una frase, di definire un ricordo, di masticare una recensione, siamo ritornati nell’area archeologica di Paestum per l’apertura della rassegna “Le Muse ai templi”. Serata inaugurale affidata alla Orchestra Nuova Scarlatti con la sua musa Beatrice Venezi, in rappresentanza, immaginiamo di Euterpe, un sodalizio inscindibile con il clarinettista Gaetano Russo, che tenta di trasformare l’orchestra in stabile e, siamo certi, che la parola benevola del nuovo consigliere alla Musica possa intercedere per vincere la battaglia istituzionale, visto che sul palco il clarinettista e il direttore si sono scambiati quasi un abbraccio paterno. Saluti istituzionali con due splendide bionde sul palcoscenico, la padrona di casa Tiziana D’Angelo in tubino rosso e la Venezi in lungo bleu, con il vicesindaco, la bruna Maria Antonietta Di Filippo a far da affettuosa accoglienza.
Le prime parti degli archi della Nuova Orchestra Scarlatti possono comodamente suonare senza direttore, ma guidati dallo sguardo del primo violino Pasquale Faucitano, che aveva di fronte, in qualità di primo cello Pierluigi Marotta, al contrabbasso Gigi Lamberti, per non parlare dei legni, per quanto abbiamo potuto intuire e vedere, Franco Ascolese pupillo di Jean Claude Gèrard al flauto e Luca Cipriano con a fianco Francesco Abate a rappresentare la nostra storica scuola di fiati. Programma di repertorio, le overture de’ L’Italiana in Algeri e de’ La Gazza ladra di Gioachino Rossini, il concerto per tromba di Haydn, la sinfonia del Nabucco e quella della Giovanna d’Arco certamente non di comune ascolto. Non tenta nulla la Venezi in Rossini, il non dare attacchi semplici e coerenti ha messo in difficoltà, in particolare nell’Italiana in Algeri, i legni, che sono gli strumenti principi del genio pesarese. Forse, la Gazza Ladra, tra le quattro ouverture proposte è risultata quella dalla lettura maggiormente sensibile e contenuta, con qualche lieve squadratura. Ha brillato, invece di luce propria la giovanissima tromba solista Davide Battista allievo di Claudio Gironacci, il quale ha affrontato il concerto per tromba e orchestra di Haydn caratterizzato da quella speciale brillantezza e vivacità strumentale, unita a tratti intimamente poetici e preziosi, distribuiti in modo equilibrato, con rara fusione, tra solista e orchestra. Sorpresa per il pubblico alla cadenza per gli stilemi jazzistici esibiti come Stefano Bollani nel concerto K488 di Wolfgang Amadeus Mozart, ma che a nostro parere pur considerando che nella cadenza il solista è completamente libero, il mantenere il ragazzo ancora nel tradizionale sarebbe stato anche lungimirante, visto che il bis dopo l’abbraccio caloroso del pubblico è stata una intensa interpretazione di “In a sentimental Mood” uno dei temi principi dell’orchestra ellingtoniana, in cui Davide non sfigurerebbe tra qualche anno. Infatti, qui ha proposto una tromba con già una controllata duttilità timbrico-melodica, tanto da creare in questo solo un flusso musicale sorprendente e coerente, di solida architettura. Concerto quello di Haydn per tromba clarino, che ricordiamo nella esecuzione di Maurice André, eseguita da Davide Battista con tromba moderna, alla Wynton Marsalis, del quale gli auguriamo di ripercorrere le tracce, ma nei tempi giusti e con immensa umiltà e studio, nelle cui pagine abbiamo ritrovato la perfezione di intonazione, tecnica e interpretazione, solo nell’Allegro finale. Si è continuato, quindi, con due sinfonie verdiane.
Nell’ouverture della Giovanna D’Arco, l’ha fatta da padrone il flauto, con il quale Verdi si apre a sfumature emotive per quelle dodici battute in pianissimo ad annuncio di un temporale che preludia in orchestra tra l’onomatopea rossiniana e la distesa melodia belliniana, a simbolo della Giovanna che da pastorella diviene amazzone guerriera. Non impeccabile l’orchestra qui e nessun tentativo da parte del direttore di sfumare i contrasti verdiani. Poi, la sinfonia del Nabucco ove la Venezi ha tentato una direzione dominatrice sotto il profilo del ritmo forsennato, mettendo in seria difficoltà i violini e con loro un po’ tutte le sezioni dell’orchestra, sino alle percussioni, rendendo, così, vana ogni ricerca, anche da parte degli strumentisti, di colori, sfumature e slanci, non riuscendo a ricreare quell’ “agonia della burrasca”, caratteristica dell’ orchestra verdiana, tanto amata da Enzo Siciliano, purtroppo tra discromie e discronie, con questa chiave di lettura azzardata da parte del direttore, giustificate anche dall’esiguità di prove con una Venezi, richiestissima in ogni dove, a causa di “un colpo di stato concettuale” in questo momento di “governance” per dirla con il filosofo economista canadese Alain Deneault. Appalusi generosissimi, scambio di doni, targhe e fiori, tanti selfie e promesse di ritorno.
In una notte di mezza estate, preludio di novilunio, il tempio di Nettuno era spento: Euterpe non abita lì.