Brevità e fuoco nell’opera giovanile del compositore che vedrà la sua prima assoluta il 15 novembre sul palcoscenico dell’Opera di Tirana, affidata da Abigeila Voshtina al binomio composto dal Maestro Jacopo Sipari di Pescasseroli e dalla regista Ada Gurra, che ha legato il titolo alla disumanità di tutte le guerre.
di OLGA CHIEFFI
“La divina giustizia di qua punge quell’Attila che fu flagello in terra”
( Dante La divina Commedia: Inferno canto XII)
Debutto assoluto per Attila, in un periodo particolare, di guerra, di becera violenza e divisione, al Teatro dell’Opera di Tirana, mercoledì 15 novembre, con repliche fino al 19 c.m., una delle opere degli “anni di galera” di Giuseppe Verdi. Non un capolavoro sicuramente ma, come diverse opere del giovane Verdi, una palestra di sperimentazione che riguarda personaggi e situazioni. Si pensi alla tempesta e all’alba sulla laguna dove sorgerà Venezia o all’incontro tra Attila e il legato del Papa, o, ancora, alla maschia figura della protagonista femminile, Odabella, alla pari con il re unno. Una cura particolare nella strumentazione e alcune scene d’assieme efficaci completano il quadro. Rimangono un terzo atto sbrigativo e veloce, incongruo anche dal punto di vista drammaturgico, e alcuni effetti musicali poco raffinati ma si sente che il Macbeth e, non solo, è alle porte. La scelta del sovrintendente dell’Opera di Tirana, la violinista Abigeila Voshtina, unitamente al suo direttore artistico Jacopo Sipari di Pescasseroli, che sarà sul podio, porrà l’accento sulla contrapposizione tra poteri forti. Ci sono personaggi fondamentali maschili che si contrappongono, poi trovano una mediazione e quindi con una vocalità, due modi di esprimersi diversi. Lo sguardo su come Verdi rappresenta questo scontro tra poteri è estremamente intenso e comunicativo e crea una notevole capacità di discrimine in chi lo osserva.
Quindi, offre un’educazione allo sguardo sulle relazioni tra le persone e relazioni di potere, in cui si rivela la storia d’amore. “Ho scelto l’Attila – ha dichiarato Abigeila Voshtina – perché il terrore bussa ancora alla porta. Attila perché il teatro desidera alzare ancora l’asticella in originalità e contenuti, dopo il successo dell’Aida, considerata la madre di tutte le opere. Un titolo l’Attila, più attuale che mai, non nella fantasia ma nella realtà che si fa avanti nella nostra mente, perché ancora la storia è magistra di differenze culturali che alzano muri e guerre in nome della libertà. Non sono in grado di prevedere se oggi una figura quale è Odabella congiunta ad Ezio potesse mai sconfiggere il temuto Attila, ma so di sicuro che il cuore di entrambi è sceso negli inferi danteschi dove nel primo giorno del VII cerchio, sono immersi nel fiume di sangue bollente, il Flegetonte”. “Attila è un’opera che adoro profondamente – ha continuato il Maestro Jacopo Sipari – come del resto tutto il primo Verdi. È una autentica premiere assoluta per il nostro teatro, affidata ad un cast di straordinario livello e dalla potenza vocale ed emotiva espressa. Sarà la prima opera con il tenore internazionale Amadi Lagha, come primo solista stabile del teatro. Ritengo che sia oltretutto un’opera che ben si adatta alle caratteristiche di questa orchestra capace di affondare con estremo vigore, laddove richiesto, unitamente a momenti più lirici, come convincente è l’allestimento innovativo della regista Ada Gurra che trasporta lo spettatore in un mondo post moderno dove la guerra priva chiunque della propria umanità, continuando sviscerare un tema così tristemente attuale”.
Occhi puntati su Petar Naydenov il basso che vestirà i panni del capo degli Unni. Un compito delicato, anche per l’estrema varietà d’accenti emotivi del suo personaggio, affronta poi il soprano Eva Golemi, cantante al debutto, nel ruolo di Odabella, che dividerà il ruolo con Ramona Tullumani Metaj, al loro fianco saranno il tenore Amadi Lagha come Foresto e come il baritono Armando Likaj nel ruolo di Ezio, nomi noti al pubblico internazionale, (in due repliche ci sarà Evez Abdulla a interpretare il generale romano), e ancora l’ Uldino dei tenori Mathias Xheli e Andi Istrefi e il Leone del basso Bledar Domi. Impegnativa la parte del Coro, istruito come sempre da Dritan Lumshi. Il teatro dell’Opera di Tirana apre le porte e mette alla prova tanti giovani e in orchestra ci saranno l’arpa e la tuba di scuola salernitana, rispettivamente Antonietta Lamberti e Mauro Castiello, mentre il Conservatorio “Umberto Giordano” di Foggia avrà quali tirocinanti in formazione Giovanni Curci al flauto e ottavino e Alessandro Morsuillo e Giuseppe Patalino alle percussioni. Il direttore Jacopo Sipari credendo fortemente nel ruolo del Maestro nel senso più profondo del termine, ha anche inteso affidare la prima lettura con orchestra e i solisti al violinista Luca Gaeta, del magistero di Donato Renzetti, agone, sfida e cimento per tutti, quale suo assistente in questa produzione. Attila, da un punto di vista direttoriale sarà parte di un percorso interpretativo, che affonda le mani in una materia ancora grezza per certi versi ma, per molti altri, piena di forza ed energia teatrale; capace, inoltre, di rivelare tanti aspetti di quel serbatoio di idee musicali e drammatiche che torneranno poi in forma più compiuta. Quel tanto di sperimentale che si coglie nel taglio del dramma si riflette in una musica disuguale poiché alterna passi di rapinosa bellezza a numeri meno convincenti. In particolare, Verdi sembrò trovare gli accenti più ispirati quando scrisse i brani per i personaggi del “flagello di Dio” come la Cavatina del sogno e di Odabella, che si presenta in scena con una vocalità stentorea, quasi da walkiria wagneriana “Allor che i forti corrono” dal ritmo marcatissimo e guerresco.
Ma il personaggio stimola la fantasia di Verdi anche in altri modi, ad esempio con la strumentazione straordinariamente raffinata che accompagna la sua romanza nel primo atto, “Oh! nel fuggente nuvolo”. Anche gli altri personaggi, del resto, sono tratteggiati con cura. Attila personaggio non meno complesso, diviso tra la sete barbarica di conquista e il terrore ispiratogli dal soprannaturale; così la scena del sogno e poi l’incontro col vecchio Leone, raggiungono una straordinaria concentrazione emotiva. Più convenzionale, semmai, è il tenore Foresto, che incarna lo stereotipo dell’innamorato languido, passivo e ben poco eroico: i suoi interventi corrispondono all’espressione codificata (e convenzionale) del dolore, del rimpianto di una felicità perduta. Un poco più generici, forse, sono invece i passi destinati al generale romano Ezio, con la sua aria bellissima che non ha nulla a che fare con la narrazione degli eventi, potrebbe sembrare inessenziale, quasi una forzatura imposta dalle convenienze teatrali. Ezio resta la glorificazione del congiurato; ci ha provato con Attila, accetterà fra poco la proposta di Foresto: come l’esule, anche il congiurato è figura simbolica centrale nella sintassi risorgimentale, già presente in Donizetti. Le cabalette sono le parti più deboli di Attila, ma quella di Ezio è, certamente, la più raffinata della partitura, la “parola scenica” che la conclude è simbolo definitivo di questo sofferto realismo, spinto fino al sacrificio di sé: “Sovra l’ultimo romano / tutta Italia piangerà”. Nel Finale emerge la statura di Attila, circondato, musicalmente, da un fronte di oppositori che non vogliono ascoltare le sue ragioni. Le sue ultime parole, rivolte alla donna che lo trafigge con la sua stessa spada, sono “E tu pure, Odabella?”; evidente allusione alle parole di Giulio Cesare a Bruto, in un momento in cui riemergevano i dibattiti sul neo-cesarismo, sul regicidio, sulla congiura, sul coinvolgimento collettivo nell’uccisione del tiranno, lette attraverso il Giulio Cesare shakespeariano.