Lunedì 7 agosto l’Orchestra Sinfonica Abruzzese diretta da Sandor Gyudi ospiterà la violinista Abigeila Voshtina per il concerto di Bruch e il violoncellista Ettore Pagano per il primo di Šostakovič, nell’ambito della XXXIX edizione del Festival Internazionale di Mezza Estate, firmata da Jacopo Sipari di Pescasseroli,
di OLGA CHIEFFI
Settimoappuntamento in cartellone per laXXXIX edizione del Festival Internazionale di Mezza Estatecheinaugurerà,nel chiostro del Convento di San Francesco inTagliacozzo,lunedì 7 agosto, alle ore 21,15.Il direttore artistico del festivalJacopo Sipari di Pescasseroli, che ha firmato il cartellone, realizzato colpatrocinio delM.I.C, della Regione Abruzzo,dellaCittà di Tagliacozzo,grazie alla aperta visionedelSindaco Vincenzo Giovagnorio edel suoAssessore alla cultura Chiara Nanni,della Banca del Fucino e della Fondazione Carispaq. “Sono particolarmente felice diriavere–ha dichiarato il Maestro Jacopo Sipari-quale ospite del Festival la violinista Abigeila Voshtina insieme con il violoncellista Ettore Pagano, quest’ultimo erede del suono italiano di questo strumento, quest’anno latore di un piccolo record cheè quello di aver suonato con tutte leIstituzioni Concertistico-Orchestrali che in Italia sono undici. L’accoppiata Bruch-Dmitrij Šostakovičè particolare poichè ascolteremo il Bruch più amato, virtuosistico ed emozionale, per la pregnanza delle sue ideemusicali e lo Šostakóvič finalmente libero di scrivere,essendo stata infranta lagrigliadi regime”.La serata verrà inaugurata dall’esecuzione da parte diEttore Pagano delConcerto n. 1 in mi bemolle maggiore op. 107di Dmitrij Šostakovič,strettamentelegatoal nome di Mstislav Rostropovič.In questa pagina,il legame potrebbe essere rappresentato dal segnomusicale, visto che tutta la composizione sfoggia un mèlos orientaleggiante, plausibilmente ispirato alla città nativa di Rostropovič,la musulmana Baku.Forse lo stesso tono sostanzialmente gaio ed estroverso della composizione potrebbe rimandare a quel carattere solare e profondamente affabile che ha sempre garantito affetto e riconoscenza a Rostropovič, anche lontano dalle sale da concerto. La Russia di quegli anni, dopo la morte di Stalin, stava voltando pagina. Il formalismo, la terribile etichetta che aveva perseguitato per decenni gli artisti incapaci di seguire le direttive del Partito, stava per crollare sotto i colpi di una rinnovata coscienza artistica. Šostakovič finalmente poteva liberare quella creatività che aveva duramente represso per tanti anni; poteva scrivere un’opera serena come il Primo Concerto per violoncello o un monumento di tetraggine come il Quartetto op. 110; l’unica sovranità a cui sentiva di doversi attenere era quella della sua stessa ispirazione. Non a caso le opere di quel periodoutilizzano continuamente il tema“re-mib-do-si”, alter ego melodico, secondo la notazione tedesca, della sigla D. SCH: quasi come se Šostakovič, insistendo sulle sue iniziali, volesse rivendicare a chiare lettere la paternità assoluta di una produzione finalmente libera da ingerenze esterne. Nel PrimoConcerto per violoncello tutto profuma di rinascita; fin dalla scelta di utilizzare un tempo grazioso come l’Allegretto,rarissimo in Šostakovič,per il primo movimento. In questa pagina ogni elemento melodico balzella con sagace umorismo, senza scivolaretroppo in quel mondo grottesco che nella produzione sinfonica sogghigna con gli occhi iniettati di sangue. Il tempo è imprigionato in un metro binario, che da l’impressione di non saper contare fino a tre; proprio come se Šostakovič volesse dare un tono ludico e infantile al suo lavoro concertistico. Il Moderato, suggestivo nelle sue linee a tratti popolareggianti, si fa portare da una pacata successione di pizzicati dei contrabbassi. Dopo le risate infantili del primo movimento, l’impressione è quella di tornare a vivere in un mondo profondamente adulto; come se quei giochi non fossero stati in grado di spazzare via la malinconia di chi è stato costretto a dimenticare ogni forma di divertimento. Il brano si prolunga in una lunga cadenza solistica, che lascia al violoncello tutto il tempo di risollevarsi dall’opprimente atmosfera del Moderato; e cosìŠostakovič alla fine dell’episodio si trova tra le mani, senza brusche voltate di pagina, un personaggio solistico già bell’è pronto per la chiusura del Concerto, e nello stesso tempo vicino al clima espressivo del primo movimento: chiassoso e ottimista come un uomo maturo che si sente improvvisamente rinascere.La seconda parte della serata saluteràAbigeila Voshtina, “Konzertmeister” d’elezione di Lorin Maazel,nonché sovrintendente del teatro dell’Opera di Tirana,eseguirà ilconcerto n°1 op.26diMax Bruch,primo dei tre dedicati al violino, l’unico pezzo veramente popolare di un autore che in seno al movimento romantico tedesco si colloca in una posizione defilata e conservatrice, lontana da ogni radicalismo di stampo moderno. Non per nulla il modello a cuiBruch si rifece è il Concerto per violino in mi minore di Mendelssohn,autore che è nel sentire musicale più intimo della Voshtina,sia nei riguardi della disposizione formale, sia nella netta preminenza della vena melodica su ogni altro aspetto compositivo.La genesi del Concerto fu lunga e laboriosa e impegnò Bruch per svariati anni, dal 1864 al 1868. In questo arco di tempo il lavoro venne ritoccato almeno una dozzina di volte, giungendo alla sua stesura definitiva solo grazie ai consigli del grande violinista Joseph Joachim. Il titolo di Fantasia che Bruch in un primo momento voleva dare al Concerto tradisce la natura di alcuni aspetti del primo movimento e si riverbera sulla indicazione che l’accompagna, Vorspiel (Preludio). L’idea tematica esposta senza preamboli dal solista è una trovata musicale fulminante, che prende l’attenzione e si imprime subito nella memoria. La sua estinzione prepara, senza interruzione, il secondo movimento, un Adagio di vibrante densità espressiva, grave e patetico, appena aldi qua del limite dell’enfatico: esso offre al solista il destro per far risaltare al massimo grado la più calda e sensuale cantabilità del violino. Questo movimento, cuore dell’opera, è notevolmente ispirato e, a differenza del primo, non cede per tenutadi tensione e intensità, risultando avvincente fino all’ultima misura. Gli fa da contrasto il Finale, un Allegro energico di stampo virtuosistico, non particolarmente originale nei temi,ma assai ben architettato nel gioco delle parti tra violino e orchestra; dove il violino si fa energicamente strada con figurazioni leggere e brillanti, daassolutoprotagonista, e l’orchestra lo segue docilmente, quasi con festosa ammirazione. Lastrettadel Presto,quel finale “con forza”, approdavelocemente, alla finedel movimento con la sua irresistibile e virtuosistica conclusione, strappapplausi.