C’è bisogno di musica contemporanea e i cartelloni dei Festival Internazionale di Mezza Estate e de’ “Le Corti dell’Arte” hanno accolto l’opera della compositrice aquilana “Note di gusto Musimenù all’italiana” in scena stasera a Cava de’ Tirreni, nella corte di palazzo San Giovanni ore 20.30
C’è bisogno di guardare al futuro della musica, in tutti i campi dagli esecutori, ai compositori, ai direttori, ci si confrontava, su questo tema, mercoledì sera in piazza dell’obelisco, “prima della prima” dell’opera di Roberta Vacca “Note di gusto Musimenù all’italiana”, con i Maestri Gianluca Ruggieri, percussionista, il quale con la sua stellare formazione Ars ludi ha reso fruibile autori quali Giorgio Battistelli, Louis Andriessen, Alvin Curran e Francesco Filidei realizzandone prime esecuzioni, commissionando opere a Volker Heyn, Lorenzo Pagliei, Carlo Galante, Mauro Cardi, giungendo ad essere riconosciuto con il Leone d’Argento alla Biennale di Venezia e Jacopo Sipari di Pescasseroli, direttore d’orchestra formatosi al magistero di Marco Angius, direttore di riferimento per il repertorio musicale contemporaneo, il quale firma ormai da nove anni del cartellone del Festival Internazionale di Mezza Estate, accolto tra gli incanti di Tagliacozzo, facendo la gimkana tra i paletti posti dal Ministero della Cultura, tra contenuti, economia, senza assolutamente sotterrare il proprio gusto, il suo daimon ardente, a favore del pubblico. Un uditorio, quello dei festival che da qualche tempo, ormai, pur rispettando il Totem della Cultura, è portato ad attribuire il preventivo assenso a coloro che gli vien detto incarnare tale obelisco. La stampa è da tempo “rassegnata”, come pure i direttori di tanti festival, ma la nostra testata, grazie alle larghe vedute, speziate da un briciolo d’incoscienza del direttore (agita penna e sigaro e non sbacchetta) ha fatto della recensione una delle sue apprezzate caratteristiche, divenendo in diverse occasioni una specie di macigno provocante piccoli maremoti e, stavolta, ci siamo seduti simpaticamente ad un desco italiano. Una tavola musicale, non intavolatura per liuto, quella di Roberta Vacca, che nasce da un vero e proprio banco di cucina, con tanto di percussionista chef, Antonio Garaguso, in dialogo con l’ ensemble contemporaneo del Conservatorio Carlo Gesualdo da Venosa di Potenza, con il supporto dell’ associazione R. D’Ambrosio, che ha schierato Massimo Rosa al violino, Francesco Capuano alla viola, Samuele Notar Francesco al violoncello, Aurora Naoko Oriolo e Valentina Cannazzaro al flauto e ottavino, Sabrina Iacovera al clarinetto, Marco Sacco al Clarinetto basso, Michele Minutolo e Felice Troìa al fagotto. Ad intonare le ricette tre splendide voci, il mezzosoprano Lucrezia Ianieri, il soprano Rebecca Sois e il baritono Sergio Campobasso, con una pregnante mise en éspace, curata da Annarita Colucci, la quale ha voluto accanto al grande banco da cucina anche tre figuranti Giada Borrelli, Claudia Spiga e Francesca Molfetta, ottime mime di chef, ingredienti, avventrici e “guastatrici”, tutti della corte dell’Accademia Adalo di Donata D’Annunzio Lombardi. Sul podio il giovane maestro Sergio Lapedota, il quale si è trovato a giostrare tra le suggestioni culinarie descrittive della compositrice, la varietà dei colori musicali la veridicità delle ricette, frammentate, rivisitate, a volte ipercolorate da tante citazioni nascoste, dal brindisi di Traviata, fino a “O sole mio”. Netti i cambi di tempo, con le dinamiche intese come materia viva e vitale, ma da maneggiare con esattezza, nella caleidoscopica carica emozionale e teatrale delle seppur minime azioni sceniche. E’, l’opera di Roberta, un tour culinario-musicale delle venti regioni d’Italia, con un preludio che nasce da un frammento del nostro inno nazionale. Un viaggio sentimentale nella cucina delle nonne italiane, un’immersione nei sapori, nei profumi e nelle storie che si celano dietro ogni piatto della tradizione, che ci guida alla scoperta di un mondo fatto di gesti antichi, di ricette tramandate da generazioni, di legami familiari e di radici profonde. Sulle note di non facile tessitura di Roberta, che mette a dura prova, in particolare le due voci femminili, facendole cantare in venti diverse lingue, attraversiamo l’Italia, dalla Val d’Aosta, alle montagne siciliane, dai caruggi di Genova, ai vicoli di Napoli profumati di pizza e dove si canta per “sbariare”, alla terra del “rimorso” che è la Puglia e la sua taranta. Un’idea, quella di unire cucina e cibo, che viene da lontano, “I vini del Reno sono adatti per scrivere musica sacra, il Borgogna per l’opera seria, lo champagne per l’opera comica, i vini italiani per le canzonette” scriveva Hoffmann e “Potetos, potatos… tometos, tomatos” cantavano Ginger Rogers e Fred Astaire, a disegnare le differenti visioni di vita tra i due in “Let’s call the whole thing off” nel 1937. Era il 1947 quando Leonard Bernstein compose “La Bonne Cuisine”, quattro ricette in musica, con Lenny che giocava, come Roberta tra note e fornelli, poliedrico compositore – che parlava correntemente oltre cinque lingue – il quale selezionò quattro ricette dal libro di Emile Dumont “La Bonne Cuisine – Manuel économique et pratique (ville et campagne)”, le tradusse in inglese e… le mise in musica. Che cosa si cucina? Prima di tutto un budino alle prugne, un plum pudding, mentre la seconda canzone di Bernstein propone le code di manzo. Ci si chiede se si è troppo orgogliosi per offrirle agli amici. Le code di manzo non sono da disprezzare, specialmente alla vaccinara, la terza canzone descrive il Tavouk Gueunkis, un piatto di ispirazione orientale a base di pollo, per finire con la ricetta per un salmì di coniglio veloce, da preparare quando si presenta un ospite all’improvviso, si taglia a pezzi il coniglio – recita la lirica – si mette in una casseruola con del grasso di maiale tagliato molto sottile, si aggiungono delle piccole cipolle, sale, pepe e mezza bottiglia di vino rosso. Roberta non solo ha raccolto le ricette, ma ha così scavato nel passato condiviso, cogliendo l’essenza antropologica di ogni pietanza, il suo legame con la terra, la storia e l’identità di un popolo, ridonandocelo in musica, con tanto amore. Un omaggio alla cucina italiana come patrimonio culturale e affettivo, un inno alla condivisione e alla convivialità, alle tradizioni che ci legano al passato e ci proiettano nel futuro. Questa sera, si bissa a Cava de’ Tirreni, quale seconda proposta musicale del XXXV Festival “Le Corti dell’Arte, firmato da Giuliano Cavaliere e realizzato dall’Accademia Jacopo Napoli, nella corte di palazzo San Giovanni alle ore 20.30, dove le batterie da cucina riprenderanno magicamente vita.