Annunciato successo di critica e pubblico per proporrà la formazione composta da Costantino Catena al pianoforte, Gabriele Pieranunzi al violino, Francesco Solombrino alla viola e Danilo Squitieri al cello, ospiti rassegna “Grande Musica a San Giorgio, giunta alla sua IV edizione, promossa dall’Associazione Alessandro Scarlatti
Di Olga Chieffi
Se la IV edizione della “Grande Musica a San Giorgio”, promossa dall’Associazione Alessandro Scarlatti, presieduta da Oreste de Divitiis, ha quale titolo “Senza confini”, non potevano mancare in una proposta cameristica, autori quali Gustav Mahler e Johannes Brahms. E’ stato un successo annunciato quello del quartetto ospite, composto da Costantino Catena al pianoforte, Gabriele Pieranunzi al violino, Francesco Solombrino alla viola e Danilo Squitieri al cello, i quali hanno proposto il Quartettsatz di Mahler e il Quartetto in la maggiore op.26, di Brahms. Intarsio di finissima elaborazione, la pagina mahleriana, che ha introdotto il dialogo familiare, tra i quattro strumenti usati, in un certo qual modo, quali vocaboli timbrici, ovvero nel senso del significato fondamentale, per così dire colloquiale, consolidato nel corso della tradizione, del colore sonoro. Pur essendo una composizione giovanile, Mahler fa capo sempre ad una tipologia ambigua, ponendo di fronte come poli dialettici intensità ed estensione, ritmo stringente e dilatazione, facendo di questi contrasti un quadro, all’interno del quale si spalancano luoghi di sofferta malinconia e di attesa celestiale, che qui trova rispondenza segreta, nella melanconica conclusione preceduta da quella sorta di breve cadenza del violino. Un Gabriele Pieranunzi in stato di grazia, ha interpretato finemente il Ferdinando Gagliano del 1762, appartenuto a Gioconda De Vito, affidatogli, esplorando con preziosa tecnica d’arco, un terreno non certo piano, con armoniosa fusione con gli altri strumenti, dettata dalla più cordiale e cameristica delle intese. Una partitura, che ha vissuto sulla ricerca delle combinazioni timbriche, in un densissimo amalgama, in cui i tre archi col pianoforte si sono miscelati in maniera perfetta ed indecifrabile, nella massima valorizzazione di quell’imprendibile mutare d’espressione costituito dalla sequenza di cellule differenti, che, d’altra parte, ha richiesto agli interpreti un notevolissimo sforzo in direzione di un’elastica duttilità espressiva e tecnica. Applausi scroscianti e la seconda parte della serata è stata interamente dedicata all’esecuzione del Quartetto in la maggiore op.26, di Johannes Brahms, datato 1861. Un lavoro ampio ed estremamente complesso nella sua articolazione, nel quale l’eccezionale controllo dinamico e timbrico, che il pianista Costantino Catena possiede insieme a una incredibile sensibilità espressiva ha costituito le fondamenta su cui hanno potuto agevolmente inserirsi i tre strumenti ad arco. Indimenticabile il sublime effetto raggiunto dagli esecutori nel movimento lento, mentre nel conclusivo Allegro, tutta l’energia ritmica impressa da Brahms è arrivata al pubblico, travolto da un piacevolissimo fiume sonoro in piena, mentre la terza idea tematica, lirica e meditativa, che precede la coda dell’esposizione, si è spenta cullandosi in un incredibile pianissimo, per poi d’improvviso accendersi nella ripresa del tema principale. Ammirevole il nitore di Costantino Catena, nonché dei tre archi al cospetto delle innovazioni brahmsiane, improntate a grande naturalezza espressiva, con grande disinvoltura che ha lasciato un segno profondo, attraverso accenti e appoggi, di preziosi fraseggi, in particolare da parte del cello di Danilo Squitieri, nonché delle eleganti sfumature delle dinamiche e delle articolazioni, facendo così assumere contorni e sostanza ammirevoli per la concentrata essenzialità alle due partiture. Sensibilissimo l’approccio anche di Francesco Solombrino, ricco di zone d’ombra, chiaroscuri e intensità, slanci intensi, che ha reso straordinariamente mosso e romantico la partitura di Brahms, nel senso più pieno e immaginifico del termine, con gusto raffinatissimo del suono, della pronuncia e dell’articolazione. Timbro ricco, legati sontuosi e il profondo lirismo, hanno permesso, così, agli archi di incanalare una fluidità sfumata nelle linee del pianista e di dar loro significato, così, ogni silenzio ci ha permesso di percepire le connessioni brahmsiane, assecondandone alla perfezione i flussi e i riflussi. Abbraccio caloroso del pubblico e per bis, ancora un assaggio del poco Adagio dell’opera 26 di Johannes Brahms, centro emotivo dell’intera opera e dell’intera serata.
Le immagini del concerto sono di ARMANDO CERZOSIMO