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Sul Ravello Festival il sigillo dei Münchner Philharmoniker

  • Luglio 18, 2023
  • Olga Chieffi
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Il momento più alto del concerto diretto da Andrés Orozco-Estrada il finale dell’Adagio per pianoforte e orchestra di Edvard Grieg con solista Lukas Sternath

di OLGA CHIEFFI

Avevamo rischiato di ospitare i Münchner Philharmoniker a Salerno trent’anni fa, mentre da cinquantanove mancavano dal palco del Ravello Festival. Sabato sera, la formazione tedesca, sulle cui ragioni estetiche Sergiu Celibidache, uno dei maestri di direzione di Alessio Vlad, ha lasciato un segno indelebile, si è presentata al pubblico di Villa Rufolo guidata dalla bacchetta di Andrés Orozco-Estrada. Caratteristica dei Münchner Philharmoniker è di essere orchestra appassionata e di donarsi al direttore che in quel momento ne ha conquistato la fiducia, un’allure proveniente da un luminoso passato, che si trasforma in sfida con la bacchetta sul podio e, naturalmente, con il pubblico. Ouverture del Tannhäuser, in apertura, per l’omaggio wagneriano, con nell’ attacco la ricerca  ancora di un “assestamento”, in particolare dalle parti degli ottoni, quindi, il discorso musicale è emerso con rassicurante chiarezza, con tutti gli episodi riconoscibili, con concertazione degna dell’orchestra che avevamo dinanzi, cui il direttore ha impresso un estro narrativo comunicativo e penetrante. L’arte del pedale è caratteristica del pianista Lukas Sternath, il quale ha impreziosito il Concerto per pianoforte in la minore, op.16 di Edvard Grieg. Si è percepito al primo attacco che il solista conosce a fondo e ama la musica di Grieg e sa perfettamente come valorizzarla, come porgerla al meglio in ogni frangente. L’impressione di una freschezza sorgiva e vitalistica percorre da cima a fondo il concerto che è stato restituito al pubblico in veste sontuosa, con l’orchestra pronta a fare da cassa di risonanza del pianoforte ricca di colori sgargianti. L’aderenza della lettura nei tratti più caratteristici del lavoro, tra cui il virtuosismo mirabolante e l’ingenua innocenza che non teme la deriva sentimentalistica, ha avuto momenti di comprensione e partecipazione davvero emozionali.

Di ampio respiro l’Adagio, in cui il pianista ha lasciato a volte abbassato il pedale di risonanza nei momenti di silenzio, creando uno spazio sonoro di grande intensità che resterà impresso nella memoria. Applausi del pubblico e seconda parte della serata inaugurata dal Richard Strauss del Don Juan, in cui sono venuti fuori, in grande spolvero, i solisti: nell’esposizione, infatti, vengono rappresentati due aspetti complementari del carattere di Don Giovanni, come nell’annuncio del lirico e cavalleresco secondo tema in si maggiore, annunciato da un sensuale violino solista che sembra evocare le grazie femminili nella mente del seduttore, o l’elemento femminile, rappresentato dalle donne sedotte da Don Juan, espresso attraverso temi lirici e voluttuosi, al tempo stesso, e dalle larghe e morbide arcate melodiche, di cui un esempio è il tema affidato all’oboe. Una lezione di stile dell’intera formazione nel finale in cui Andrés Orozco-Estrada è riuscito nella creazione di quell’atmosfera rarefatta che rappresenta la morte di Don Giovanni, ormai stanco e annoiato della vita. Finale con l’Ouverture-fantasia da Romeo e Giulietta di Cajkovskij eseguita con sonorità pastose, dense, ma rese con passo agile e flessibile e un gusto per i colori che ci ha ricordato come il compositore fosse un ammiratore della scuola francese moderna. Pagina questa che raramente è suonata così giusta, con tutti i rapporti perfettamente dosati e conseguenti, tra nerbo e squarci di abbandono, come il tema d’amore proposto dal flauto e le pulsioni più inquietanti affidate ai precisi percussionisti alla cassa e ai piatti.

Applausi scroscianti e due generosi bis, poiché è noto che è convinzione del direttore colombiano che l’orchestra si debba divertire. Ed ecco l’ouverture della Carmen di Bizet, agile, aggressiva, scattante, come ha da essere  con quella sua disperata vitalità ed il Galop del “Guglielmo Tell” di Gioachino Rossini, che ha sigillato la serata con l’orchestra a briglia sciolta ad evocare l’ardore di destrieri e cavalieri che, con il loro impeto hanno portato a lieta conclusione una delle più amate pagine rossiniane.

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