Fantasia Corale Schmeichelnd hold in do minore, op. 80 e la Messa di Requiem K626 le pagine scelte dalla Sovrintendente dell’Opera Nazionale d’Albania Abigeila Voshtina e dal suo direttore artistico Jacopo Sipari di Pescasseroli per l’inaugurazione della nuova stagione dell’opera di Tirana per offrire al pubblico quel segno forte di pace che solo il segno universale della musica può trasmettere
di OLGA CHIEFFI
Due titoli insoliti, due giganti a confronto, l’immediatezza della scrittura mozartiana e l’arte della costruzione beethoveniana, per l’appuntamento inaugurale della nuova stagione dei Teatri Kombetar i Operas, Baletit dhe Ansamblit Popullor di Tirana, che aprirà le sue porte al pubblico in questo week-end, nel week-end, alle ore 20. Il programma stabilito da dalla Sovrintendente dell’Opera Nazionale d’Albania Abigeila Voshtina e dal suo direttore artistico Jacopo Sipari di Pescasseroli sono, appunto, la Fantasia Corale Schmeichelnd hold in do minore, op. 80 di Ludwig van Beethoven tesa a magnificare la vita come cosa bella, unione armoniosa di nobiltà e gioia sotto l’incanto dell’Arte che avrà quali solisti Dorina Selimaj, Ivana Hoxha, Matias Xheli, Artur Vera e Bledar Domi e al pianoforte Ivo Gjika e la Messa di Requiem in Re minore K 626 di Wolfgang Amadeus Mozart, opera circondata da un’aura di mistero, di tragedia, di complotto, di destino, che l’ha proiettata subito e per sempre nella dimensione del mito, cantata da Eva Golemi, Matias Xheli, Vikena Kamenica e Bledar Domi, con doppio cast per la giornata del 15 ove il soprano sarà Renisa Laçka e il mezzosoprano Ivana Hoxha, naturalmente con l’orchestra e il coro del teatro, preparato da Ditran Lumshi, diretti da Jacopo Sipari di Pescasseroli. “E’ insolita la scelta della Messa da Requiem di Wolfgang Amadeus Mozart per inaugurare una stagione musicale – ha dichiarato Abigeila Voshtina – ma questi tempi la impongono. Il mondo sta vivendo oramai da due anni guerre cruente, alle quali da quell’agosto del 1945 sappiamo che esiste una soluzione finale e non avrebbero ragion d’essere. La musica è salvifica, lo è stata sempre, anche nei campi di concentramento nazisti. Il Requiem è la testimonianza forse più alta del genio mozartiano, estremamente difficile per orchestra e coro. I direttori artistici in genere preferiscono allestire un programma per l’appuntamento inaugurale più leggero, più lieto, ma credo che i due titoli scelti, di forte impatto, abbiano il compito di rivelare l’essenza dell’intero cartellone dell’Opera. Riguardo la Fantasia Corale di Ludwig van Beethoven è sicuramente una prima assoluta per il nostro paese, così come la Messa di Requiem non viene eseguita da trent’anni in questo teatro. La scelta è ricaduta anche su queste due gemme della letteratura musicale anche perché intere generazioni non li hanno mai ascoltati almeno nel loro teatro. Questi due monumenti musicali saranno entrambi affidati alla bacchetta del nostro direttore artistico Jacopo Sipari di Pescasseroli, che fa ormai parte della nostra famiglia, ha un suo seguito, poiché ha la particolare capacità di restituire qualcosa di una drammaturgia segreta, nella quale cominciano ad annodarsi rapporti empatici, nascite, emozioni, che portano tutti a “fare parte della scena”, al fianco dei musicisti e di quanti “abitano” il teatro”.
“Abbiamo scelto la Messa di Requiem di Wolfgang Amadeus Mozart – ha continuato il M° Jacopo Sipari di Pescasseroli – poiché nulla più di essa rispecchia noi uomini della fine. Il Requiem è l’ultima pietra dell’immenso edificio dell’opera mozartiana, elevato, maturo, compiuto nella sua incompiutezza, sorretto dalla sicurezza di esperienze direttamente vissute. Pur rispettando tutte le esigenze liturgiche, esso trascende ogni limitazione dogmatica per esprimersi quale personale atto di fede alla soglia della morte. Mozart attua qui la fiducia nel credo massonico, comunicandoci la fiducia della redenzione, attraverso l’amore inestinguibile per un mondo migliore. L’esegesi puritana di sfrondare i sedimenti estranei e riportare in vita soltanto il verbo mozartiano, si rivela presto trovata di stampo sofistico, sensibile alla suggestione evocativa, dal momento che già dal Kyrie, l’originale nudo e crudo è incompiuto e ineseguibile. Il requiem, trattato sulla morte concepito in articulo mortis dal più psicologico e sensibile dei compositori, ci giunge oggi come un blocco unitario e indivisibile, arcaico e insieme, fuori dal tempo. Arcaico nella gran copia di contrappunto, nei raddoppi dell’orchestra alla maniera antica, assenza di vere e proprie arie, forse per togliere ogni sorta di commentario flemmatico alla crudezza del Giorno dell’Ira. Mozart guarda indietro, certo ad Handel, a Johann Michael Haydn, ma guarda avanti, dentro di sé e dentro la propria morte. E’ asciutto, tagliente, sintetico, primitivo, come un frammento di Saffo e ci si accorge che lo stesso Requiem, di fatto, non è che un frammento. Abbiamo affiancato al Requiem la Fantasia Corale Schmeichelnd hold in do minore, op. 80 di Ludwig van Beethoven che ha proprio nel titolo quella “lusinga amichevole”. Un vero e proprio inno al potere della Musica, attraverso una delle più belle melodie che si possano ascoltare. Nella sua apparente semplicità, il motivo che si sviluppa, con variazioni, nella composizione, che richiama da vicino l’Inno alla gioia della nona sinfonia, e non credo sia questo casuale, trasmette una sensazione di bellezza suprema, che è ciò che questa sublime arte che chiamiamo Musica esprime”.
In questo concerto si andrà con il Maestro Jacopo Sipari alla ricerca del Silenzio. Secondo quello che dice Czerny, a chiudere il concerto del 22 dicembre 1808 di Ludwig van Beethoven era stata in origine destinata la Quinta Sinfonia, ma il timore che alla fine di un programma già tanto lungo il pubblico fosse troppo stanco, indusse Beethoven a presentare un’altra opera, di minore impegno e di successo più facile, sulla base del tema della canzone Gegenliebe WoO 118 da lui stesso composta qualche anno prima e con partecipazione, oltre che dell’orchestra, del pianoforte e di un coro finale. Ed ecco la Fantasia Corale, che quale venne presentata allora al pubblico, era priva dell’attuale introduzione pianistica (Adagio), che fu composta soltanto nella seconda metà dell’anno successivo. In suo luogo Beethoven eseguì probabilmente una improvvisazione. Fu un commiato quello di Beethoven, con l’idea madre della partecipazione della voce umana, che interviene alla fine a celebrare uno stato d’animo tripudiante di cui le parole danno la ragione e la musica vuol rendere il carattere emotivo.
Dall’amore scambievole fra uomo e donna del Gegenliebe passiamo nella Fantasia alle armonie della vita nel gusto della bellezza, in cui si compone ogni contrasto, e l’incanto magico dei suoni è consacrato dalla voce, che comincia a circolare in variazioni che coinvolgono ora il flauto solo, ora i legni, ora gli archi, ora tutta l’orchestra, in un contagio creativo, capace di assumere ironia, tenerezza, incanto, specie quando torna al pianoforte, e persino un piglio eroico. Un messaggio inequivocabile degli intenti che muovevano la sua creazione, in questo senso va inteso anche il tratto riconoscibile che avvicina la Fantasia al Die Zauberflote di Mozart: un’idea già cosmica e trasfigurata dell’arte, sorretta dall’ambiziosa visione della potenza espressiva della musica. Questa è ben rappresentata dalle parole, non a caso ripetute con particolare fervore e forse addirittura suggerite da lui stesso, che chiudono la terza e ultima strofa della composizione, esaltate dal coro: “Accogliete, anime belle, lietamente i doni dell’arte. Quando l’amore si unisce alla forza, l’uomo è ricompensato dal favore degli dei”. Un commiato quello di Mozart col Requiem. “Morte” può per molti, siano o no credenti, essere la più dolce delle parole. Può significare anche strazio, indurre a inane ribellione contro gli ingiusti decreti del Fato. Accostata ai tempi d’oggi, la parola può significare soltanto “strazio” per un impoverimento del mondo e per la negazione dell’Uomo, che è la guerra. Il silenzio che seguirà domani all’ ultimo accordo del Requiem dovrà vibrare, nell’impercettibilità del gesto del maestro, nella sua volontà di non essere più protagonisti, di un’ eco lontana. Ma il silenzio non esiste. Ecco l’urgenza di abbandonare ogni intento di controllo del suono e tentare di scoprire i mezzi che consentano ai suoni di essere se stessi. E nel dire le cose, nel dire il silenzio presente nei suoni delle cose, la parola nel suo domandare dovrà riaccendere la meraviglia. Meraviglia che non è solo incanto o superamento estatico della ragione, ma è e continua ad essere riflessione: la riflessione del cogito che prova insieme l’angoscia del silenzio – ossia della morte – e la gioia della parola nel suono delle cose. “Nelle nostre coscienze qualcuno ascolterà risonare quell’interminato “Ewig”, “per sempre”, con cui si chiude “Il canto della Terra” di Mahler, e i confini fra Bene e Male, Tempo e Nulla si dissolveranno in luci calanti” (Paolo Isotta).